I toponimi italiani delle località disseminate lungo la costa e sulle sponde dell’Adriatico orientale sono in parte nati come endonimi: usati cioè dagli abitanti locali e spesso derivanti da un precedente nome dalmata o latino. Un altro gruppo deriva, invece, da una traslitterazione del corrispondente termine slavo operata ai tempi della plurisecolare presenza veneziana. Spesso i toponimi italiani sono stati utilizzati ufficialmente anche durante l’amministrazione austroungarica sulle coste orientali del Mare Adriatico. Difatti, non è raro sentire i turisti austriaci e ungheresi chiamare le località istriane e dalmate con i loro nomi italiani. Al contrario, tra i turisti italiani prevale l’abitudine di utilizzare i toponimi croati.
Capita spesso di imbattersi in turisti provenienti dallo “Stivale” diretti a Veglia che chiedono indicazioni per raggiungere Krk. La cosa buffa sta nel fatto che puntualmente storpiano la pronuncia del termine, pronunciando invece di Krk un’“onomatopea” che suona più o meno come Crec. Cherso (in croato Cres) diventa Zries, Parenzo (Poreč) Porec, mentre Draga di Moschiena (Mošćenička Draga) si tramuta letteralmente in un qualcosa impronunciabile. E se fino a un certo punto lo storpiamento della pronuncia dei nomi croati delle località da parte dei turisti italiani è più che comprensibile considerate le peculiarità della lingua croata, lo stesso non si può dire per gli errori commessi nello scriverli.
La settimana scorsa abbiamo preso in mano una delle più prestigiose riviste italiane. In diversi articoli erano menzionate località della costa croata: Albona, Porto Albona o Rabaz, Pinguente, Ragusa (Dubrovnik), Vallo della Brazza (Bol), Brazza (Brač) e Spalato. L’unica località indicata con il nome italiano era Spalato, mentre per le altre gli autori avevano optato per i termini croati (va detto che stando ad alcuni autori può essere considerato un toponimo italiano pure Bol, nda). Una scelta discutibile, ma frequente. Una scelta, quella dei colleghi del noto settimanale, che non condividiamo, ma che possiamo anche accettare. Ciò che non comprendiamo è il modo errato nel quale sono stati riportati i nomi di ben tre delle località indicate. E se in due casi si potrebbe trattare di uno sbaglio di battitura (Rabak invece di Rabac e Buzek invece di Buzet), è assolutamente incomprensibile come Brač sia potuta diventare Braç, considerato che né la lingua italiana né tanto meno quella croata conoscono l’uso della lettera ç.
Comprendiamo che esistono numerose ragioni che rendono più comodo l’uso dei toponimi croati e sloveni per indicare le località dell’Istria, del Quarnero e della Dalmazia, rispetto ai loro corrispettivi italiani. Tuttavia, in questi casi sarebbe auspicabile indicare i toponimi in questione correttamente e accompagnarli, tra parentesi, con il loro corrispettivo italiano. Esistono numerose fonti che trattano l’argomento, anche su Internet. Una delle opere più complete in questo senso è il volume Italia Illyrica di Natale Vadori. Un’opera che propone un’approfondita e dettagliata raccolta di circa 40mila toponimi dalla Dalmazia al Mar Nero in italiano e nelle lingue locali.
(fonte “la Voce del Popolo” 28 settembre 2012)