da Il Piccolo del 2 agosto 2010
Del concerto del maestro Muti si ebbe notizia a maggio. Durante il consiglio nazionale dell’Anvgd (Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia) che si svolse a Rimini il 5 giugno chiesi il parere dei consiglieri sull’iniziativa di Muti e sulla posizione che gli esuli giuliano-dalmati dovevano assumere. In più interventi fu espressa l’opinione che il concerto fosse una buona occasione da non lasciarsi sfuggire per ricordare le vicende del nostro Esodo, la tragedia delle Foibe e le nostre aspettative ancora disattese.
In tal senso mi permisi di inviare una lettera al Presidente della Repubblica Napolitano chiedendogli di incontrare prima del concerto una rappresentanza delle associazioni degli Esuli ed anche della minoranza italiana in Slovenia e Croazia e della minoranza slovena in Italia, affinché guardando al futuro non si dimenticassero le popolazioni che avevano sofferto delle tragiche vicende del Novecento.
La richiesta aveva incontrato il favore del Quirinale quando giunse la notizia che la Presidenza slovena aveva proposto un omaggio all’antica sede del Narodni Dom, devastata dal noto incendio del 13 luglio 1920. Manifestai immediatamente le mie riserve e la contrarietà che la richiesta avrebbe suscitato nell’opinione pubblica triestina, ricordando in un breve appunto il contesto di quel deplorevole evento e la stagione di violenze che gli italiani stavano subendo in Dalmazia, culminata nel duplice omicidio di Spalato dell’11 luglio 1920 e conclusasi con l’esodo di migliaia di miei conterranei.
Diffusi quindi un comunicato, dove si chiedeva che se si fosse accettata la richiesta slovena si compisse anche un atto di riconoscimento dei sacrifici dei giuliani e dei dalmati italiani, indicando anch’io come luogo simbolico la Foiba di Basovizza. A questo punto sopraggiunse il silenzio delle tre capitali interessate. La cosa più ovvia da pensare era che non se ne sarebbe fatto più nulla, per non scontentare nessuno. Solo il concerto senza i tre Presidenti. Personalmente ritenni che tale soluzione, la più pilatesca sul piano morale, fosse una sconfitta per Trieste e per l’Italia, paese che ospitava il concerto, incapace di trovare un moto di concordia davanti ad un evento artistico di alto significato. Due negazioni non fanno un’affermazione; non sono una vittoria della verità, ma la sua sconfitta. Fu poi il presidente della Federazione delle Associazioni degli Esuli Renzo Codarin a proporre pubblicamente un omaggio al monumento all’Esodo dei 350.000 Istriani Fiumani e Dalmati in Piazza della Libertà. Qualche giorno dopo ricevetti una telefonata di Milos Budin che mi avvisava che la proposta di Codarin poteva trovare il favore della Presidenza slovena e, a quanto ne sapeva, anche di quella croata. Che il Presidente Josipovic accettasse tale soluzione non mi sorprendeva, conoscendo le sue equilibrate prese di posizione verso la vicenda del nostro esodo espresse subito dopo l’elezione e sapendo della sua visita al monumento di Bleiburg che ricorda lo sterminio di migliaia di croati da parte dei partigiani comunisti di Tito. Mi assunsi allora la responsabilità di far mia la proposta di Codarin, che l’aveva avanzata in totale solitudine, non sollecitato da nessuno. Resto convinto che sia stata una soluzione di alto profilo, tutt’altro che un compromesso al ribasso, perché è servita a ribadire: 1) che già nel primo dopoguerra migliaia di italiani della Dalmazia avevano subito vessazioni ed erano stati costretti ad un primo esodo; 2) che tutta l’Istria, Fiume e Zara erano abitate da centinania di migliaia di italiani autoctoni che erano stati obbligati dopo la seconda guerra mondiale ad abbandonare la terra natale da una pulizia etnica (quella feroce barbarie che il Presidente Napolitano aveva menzionato celebrando il Giorno del Ricordo del 2008), di cui i massacri delle Foibe erano stati strumento.
Se la Foiba di Basovizza rimane il simbolo di quegli eccidi e ricorda ai triestini i terribili 40 giorni dell’occupazione iugoslava, il monumento all’Esodo non è un simbolo di valore inferiore, ma più compiuto, perché comprensivo di un arco di eventi più ampio, che ha privato la costa dell’Adriatico orientale, dove i 40 giorni sono durati per sempre, della sua secolare presenza italiana, di cui noi esuli siamo testimonianza e la cui continuità è affidata alla minoranza dei Rimasti, nostri fratelli nella difesa di una civiltà che i totalitarismi del Novecento volevano cancellare. Se l’incontro dei Tre Presidenti non fosse avvenuto di tutto questo non si sarebbe parlato nella stampa italiana e straniera. Sarebbe rimasto un concerto muto, un’occasione perduta. Se questo a qualcuno sembra poco, è evidente che abbiamo un diverso senso della storia e della nobiltà della nostra patria italiana.
Lucio Toth
vicepresidente della Federazione degli Esuli
presidente ANVGD