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03gen12 – ‘Primavera a Trieste’ non piacque a Calvino ed Einaudi non la pubblicò

Quel libro a Italo Calvino non doveva piacere proprio. Perché nella riunione del 19 aprile 1950, dopo aver ascoltato il parere dell’autore del “Visconte dimezzato”, “Il barone rampante” e altri gioielli narrativi, la casa editrice Giulio Einaudi decise di rispedire a Pier Antonio Quarantotti Gambini il manoscritto di “Primavera a Trieste”. Un «lavoro in forma di diario riferentesi al periodo dell’insurrezione di Trieste», informava con stringatissima precisione la nota editoriale. Non ci sarebbe stato ripensamento. Nonostante il successo legato alla “Rosa rossa”, edito da Treves, e a “L’onda dell’incrociatore”, che la stessa casa editrice Einaudi aveva pubblicato nel 1947. “Primavera a Trieste” sarebbe uscito l’anno seguente, nel 1951, per Mondadori. Raccogliendo, forse, un’attenzione molto più tiepida di quanto si potesse prevedere.

 

Ma il gran rifiuto di “Primavera a Trieste” è solo uno dei tanti episodi che saltano fuori spulciando quell’autentica miniera di notizie intitolata “I verbali del mercoledì. Riunioni editoriali Einaudi 1943-1952”, il volume pubblicato da Einaudi (pagg. 533, euro 40) a cura di Tommaso Munari e con la prefazione di Luisa Mangoni. Primo assaggio dell’enorme materiale, archiviato dalla casa editrice torinese, che dà conto delle leggendarie riunioni di redazione. Istituite per tenere in costante collegamento le menti che lavoravano per Giulio Einaudi (da Cesare Pavese a Natalia Ginzburg, da Giaime Pintor a Carlo Muscetta, da Pietro Zveteremich a Massimo Mila, da Italo Calvino al consigliere esterno Norberto Bobbio). E, ovviamente, per disegnare i percorsi futuri che avrebbero dovuto coniugare l’attenzione per il mercato librario, per le vendite, con un progetto culturale ben preciso.

 

All’Einaudi, sottolinea Luisa Mangoni, sono state imputate molte colpe. Dal rifiuto di “Se questo è un uomo” di Primo Levi all’eccessiva soggezione nei confronti del Partito comunista. Senza trascurare l’accusa di megalomania rivolta allo stesso Giulio Einaudi. Eppure, scorrendo il catalogo della casa editrice, ma anche andando a spulciare in mezzo a questo frastagliato campionario di note editoriali, non si può non ammettere che la cultura italiana del ’900 deve tantissimo ai libri dello Struzzo. Basterebbe dire che quando si pensava di mettere in cantiere una traduzione, tutt’altro che facile, dei versi di Vladimir Majakovskij venne fatto subito il nome di Tommaso Landolfi. Un grande scrittore capace di dedicarsi ai testi degli altri con la stessa cura che usava per i suoi.

 

Alessandro Mezzena Lona

“Il Piccolo” 2 gennaio 2012

 

 

Lo scrittore istriano Pier Antonio Quarantotti Gambini nel suo studio (foto www.retecivica.trieste.it)

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