da "La Voce del Popolo", quotidiano in lingua italiana edito a Fiume
S’intitola “Lezioni per l’Adriatico – Argomenti in favore di una nuova euroregione” il libro a cura di Franco Botta e Giovanna Scianatico, con l’introduzione di Franco Cassano, per le edizioni FrancoAngeli.
Il volume, che raccoglie una serie di saggi a firma di studiosi di paesi diversi, intende interrogarsi sulla possibilità di un’Europa adriatica, geograficamente unita/divisa da questa lingua di mare mediterraneo sulla quale si affacciano popoli, culture, mentalità per tanti versi affini, ma per altri differenti e a volte contrastanti. Coscienti di questa doppia lacerazione, i curatori hanno costruito un volume che si sforza di offrire una panoramica dei modi diversi con cui le genti di queste terre si misurano con la “Questione adriatica”.
Nell’introduzione “Homo Adriaticus” Cassano da un lato fa notare le fittissime plurisecolari relazioni tra le due sponde intercorse dal Trecento all’Ottocento, le quali ci insegnano che costruire l’Adriatico significa “riafferrare e moltiplicare quei fili”; d’altro canto riconosce la necessità della frontiera in quanto riparo da disorientamenti e rischi di “scoprirsi terra da cui fuggono le energie migliori per trovare lavoro altrove e terra di approdo di chi viene da un altro sud”.
Dello spinoso e complesso problema dell’identità albanese tratta Fatos Lubonja in “L’Albania, tra mistificazioni identitarie e realtà”. La manipolazione della storia, ossia la decostruzione- ricostruzione della storia dal potente di turno (ottomani, slavi, comunisti, europeisti), l’imposizione di mappe ideologiche e identitarie immaginarie che non corrispondono alla complessità della realtà albanese, una cultura nuova e artificiosa – il “cannibalismo culturale”, secondo Levy Strauss, che si nutre del retaggio del passato rimescolato e attualizzato secondo le convenienze – sono alcuni dei punti chiave presenti in questo intenso saggio.
In “Italiani, croati e l’Europa adriatica” Luciano Monzali rileva come i rapporti fra i due popoli siano uno dei temi fondamentali della storia delle genti adriatiche; sottolinea i fenomeni migratori tra le due sponde a partire dall’età precristiana e da una convivenza contrassegnata sia da conflittualità che da rapporti di vicendevole stimolo, tuttavia con esiti fondati più sulla chiusura e contrapposizione che sulla pacifica coesistenza. Una delle specificità del popolo croato, fa notare l’autore, è il fondere in sé, in maniera unica e originale, culture e tradizioni eterogenee: l’influenza austro-ungarica, l’esperienza storica della dominazione ottomana e la cultura neolatina d’ispirazione italiana. L’autore ripercorre un itinerario storico che si snoda attraverso l’importante ruolo svolto in Dalmazia dalla Repubblica di Venezia a livello di statualità e cultura – esempio illuminante il caso della Repubblica di Ragusa -, all’Ottocento nazionalista che portò alla separazione e alla differenziazione politica, culturale e sociale tra italiani e croati, che in regioni multiculturali quali il Quarnero, l’Istria e la Dalmazia portò tensioni e lotte; ripercorre il travaglio novecentista, per approdare infine alla contemporaneità e all’adesione della Croazia all’Alleanza Atlantica, confidando nel dialogo adriatico per un’area di pace e prosperità nel cuore del Mediterraneo.
Inoslav Bešker, in “Adriatico, identità e globalizzazione”, dopo un excursus storico nell’ambito del fenomeno della graduale quanto contradditoria e complessa messa a fuoco di un’identità linguistica e culturale da parte delle popolazioni croate, bosniache, montenegrinine, albanesi, arriva al Novecento con la realtà della globalizzazione ed eurointegrazione e della loro esigenza di apertura, ma pure di perdita indentitaria. La secolarizzazione, la supremazia dello stato sul mercato, la solidarietà al di sopra dei profitti, l’orientamento pacifista, sono alcuni dei caratteri dell’identità europea secondo il filosofo tedesco Habermas; al quale, Henning Ottmann, criticandolo, gli oppone l’affermazione che “l’identità sia una categoria precostituzionale e che le costituzioni derivino dalle identità, e non le identità dalle costituzioni, nemmeno da quella europea”.
Stefano Lusa – “Gli sloveni ed il mare” – tratta della secolare aspirazione della Slovenia ad uno sbocco marittimo. Una volontà che – non potendosi realizzare con la presa, solo temporanea di Trieste, da parte dei partigiani di Tito precipitatisi nel capoluogo del Friuli Venezia-Giulia – si concretò con l’annessione delle cittadine venete di Capodistria, Isola e Portorose. Da lì uno sviluppo turistico-marinaro-mercantile “turbato” dalla questione del contenzioso sui confini marittimi con la Croazia e la pretesa di uno sbocco in acque internazionali.
Il volume contiene pure i saggi di Onofrio Romano “Da periferia a battistrada: l’identità basso-adriatica oltre la transizione”; lo scritto di Sanja Roić “Un ‘eredità imbarazzante. I volti diversi della cultura e civilizzazione italiana in Croazia”, che tra l’altro evidenzia i vari “occultamenti”, storture, mistificazioni storiche e, a volte, distruzioni materiali ancor oggi presenti in Croazia e Dalmazia, rispetto all’apporto culturale veneto sul territorio istro-quarnerino e dalmata.
E ancora, “L’italiano dall’altra sponda dell’Adriatico: una realtà virtuale” di Julijana Vučo, “Dalmazia un cantiere aperto” a firma di Jurica Pavičić, “La diplomazia culturale della Repubblica italiana dell’Europa adriatica e balcanica” di Lorenzo Medici e, di Giulio Cainelli e Paolo Papa “Le politiche di cooperazione trans-adriatica nel settore dei trasporti”.