Si rinnova oggi al palazzo del Quirinale il tradizionale incontro con le Forze Armate, in concomitanza come di consueto con le celebrazioni del 4 novembre, e oggi nel novantesimo anniversario della fine della Grande Guerra e del compimento dell'Unità Nazionale.
Gli eventi del 1918 ebbero rilevanza storica straordinaria per il nostro Paese e sono da allora tradizionalmente rievocati nello storico segno della vittoria sull'Impero Austro-Ungarico e della liberazione di Trento e Trieste.
A novant'anni di distanza, consentitemi però di rivolgere il mio primo pensiero non a ciò che l'Italia trasse da quel conflitto, ma a ciò che essa in quei durissimi anni irrimediabilmente perse: i sentimenti, le intelligenze, le energie vitali di centinaia di migliaia di giovani. A questi italiani, alle loro storie appena sbocciate e dolorosamente spezzate in una trincea o su un reticolato tributerò domani il mio commosso omaggio, sull'Altare della Patria, al Sacrario di Redipuglia, nella città di Vittorio Veneto.
Credo che qualsiasi riflessione sul primo conflitto mondiale non possa ragionevolmente prescindere od essere disgiunta dalla considerazione dei successivi grandi eventi che, nel bene e nel male, ne sono scaturiti ed hanno fatto l'Europa e l'Italia quali oggi noi le viviamo.
In questi novanta anni, abbiamo assistito alla straordinaria trasformazione del nostro Continente da entità geografica politicamente divisa, secolare campo di battaglia tra interessi e disegni di potenza drasticamente contrapposti secondo logiche nazionalistiche, da sorgente di conflittualità per il resto del mondo, a unione di Stati e di popoli tendenzialmente coesa e coerente, certamente ancora incompiuta, ma già in grado, al proprio interno, di vincere definitivamente l'endemico cancro della guerra e capace, verso l'esterno, di proiettare sicurezza e stabilità e di concorrere allo sviluppo sociale ed economico su scala globale.
Come la Grande Guerra costituisce soltanto un passaggio, seppure fondamentale, di questo straordinario processo di trasformazione dell'Europa, così credo che la memoria dei combattenti di quell'immane tragedia non possa, nel giorno delle Forze Armate, essere separata da quella degli europei che, negli anni successivi, costretti in altri conflitti e dolorose situazioni, li hanno seguiti sulla dura strada del dovere e del valore militare, indipendentemente dal colore della bandiera in nome della quale abbiano in buona fede ritenuto di battersi.
Se percorriamo, attraverso il '900 ed i primi anni di questo secolo, l'ideale linea evolutiva del mestiere delle armi tracciata nel tempo dalla storia, giungiamo alle Forze Armate di oggi, strumento e frutto della grande trasformazione dell'Europa. Esse difendono i valori alti e nobili che l'Unione Europea ed il nostro Paese, in particolare, promuovono nel mondo: la libertà, i diritti dell'uomo, la democrazia, la pacifica cooperazione tra le nazioni.
Il legame ideale ed umano tra il fante del Piave ed il soldato italiano di Kabul, si ritrova con evidenza nell'impegno totale per l'assolvimento del compito assegnato in nome del bene comune, anche a rischio della propria stessa vita.
Per contro, al di là delle diversità tecnologiche nei modi e nelle forme delle operazioni militari, la vera profonda discontinuità evolutiva si colloca all'inizio degli anni '90 dello scorso secolo, quando, con la fine della Guerra Fredda, sono state ribaltate le finalità di fondo che presiedono all'impiego della forza militare: prima, volto a difendere l'interesse ed affermare il ruolo della propria nazione o alleanza nei confronti di un Paese o schieramento nemico; poi, invece, teso, su scala generale, a sostenere la pace e lo sviluppo economico e sociale attraverso la cooperazione tra i popoli.
Oggi, a tanti anni di distanza e in un quadro internazionale profondamente mutato, non ha significato guardare ancora agli eventi della Grande Guerra secondo una prospettiva esclusivamente nazionale. Ed altrettanto assurdo – oltre che in palese contrasto con l'articolo 11 della nostra Carta Costituzionale – sarebbe continuare a considerare le Forze Armate strumento attraverso il quale il singolo Stato possa imporsi al di fuori dei limiti del territorio sul quale è sovrano. Infatti l'uso della forza militare a tutela della stabilità e della sicurezza internazionale ed a sostegno di un giusto sviluppo globale può per noi concepirsi solo come atto comune e necessario nel quadro della cooperazione tra gli Stati ed i popoli.
L'Italia è da decenni in prima linea su questo fronte, interprete e protagonista, in seno alle Organizzazioni Internazionali di cui fa parte, di un innovativo approccio al controllo degli scenari di crisi e di potenziale conflittualità.
Nel momento attuale, più di 8.000 soldati, marinai, avieri, carabinieri e finanzieri sono schierati oltre confine, nei Balcani, in Medio Oriente, in Afghanistan. Con il loro impegno e la loro professionalità fanno onore all'Italia.
Oggi, le nostre Forze Armate, nel quadro di crescente interdipendenza che caratterizza la società moderna, sono protagoniste dello sforzo che la Comunità Internazionale conduce per il bene comune, costituiscono componente primaria della politica estera italiana e concorrono direttamente, con la loro azione di prevenzione, controllo e stabilizzazione delle crisi, alla sicurezza ed allo sviluppo del nostro Paese.
Il Consiglio Supremo di Difesa, nella riunione del 2 ottobre scorso, ha convenuto unanimemente sulla necessità prioritaria di mantenere le attuali capacità di intervento ed ha altresì concordato che, in un quadro di ridotte disponibilità finanziarie, è necessario procedere, con approccio multidisciplinare, ad una profonda revisione delle strutture territoriali, amministrative e di supporto dell'area della Difesa, riqualificando coerentemente la spesa nei settori del personale, dell'esercizio e degli investimenti.
E' un processo delicato e complesso, che richiede spirito di partecipazione costruttiva e senso di responsabilità ad ogni livello politico ed istituzionale, centrale e locale.
Sono certo che, per raggiungere gli obiettivi comuni dell'Istituzione nell'interesse generale del Paese, le Forze Armate sapranno superare vincoli e condizionamenti ed accettare scelte non indolori anche in termini di tradizioni e presenze consolidate.
Concludo rivolgendomi agli ufficiali che saranno tra breve decorati dell'Ordine Militare d'Italia per esprimere loro il più convinto compiacimento per l'impegno, la serietà, la capacità di comando ed organizzativa, l'efficienza e la professionalità dimostrati.
A tutti gli uomini e le donne delle Forze Armate, che quotidianamente operano con abnegazione e indiscussa professionalità per la salvaguardia delle libere istituzioni, per la costruzione della pace e per garantire la sicurezza nazionale, vanno la gratitudine ed il riconoscente pensiero mio personale e di tutti gli italiani.
Viva le Forze Armate, viva la Repubblica, viva l'Italia.
Giorgio Napolitano
Presidente della Repubblica Italiana