da "La voce del Popolo" del 4 marzo
La nota giornalista e scrittrice Anna Maria Mori, nata a Pola, è stata tra il gruppo dei giornalisti fondatori di “Repubblica”, partecipando al progetto di nascita del giornale sin dai primi numeri. Per il quotidiano, dopo l'incarico di caposervizio spettacoli, è diventata inviato speciale per i settori cultura e spettacoli. È stata anche caporedattore del settimanale "Annabella" (oggi Anna, con il quale tuttora collabora). Oltre al giornalismo, ha alle spalle un'intensa attività di scrittrice. Recentemente a Fiume, e prima ancora a Pola e a Trieste, ha organizzato, con grandissimo seguito di pubblico e stampa locale, la rassegna cinematografica “Alida Valli, una, nessuna, centomila”. Abbiamo accolto l'occasione per incontrarla. “Non è la prima volta che vengo a Fiume – esordisce la nostra interlocutrice –. Ci sono stata per la presentazione di ‘Bora’ parecchi anni fa. Mi ricordo che mi fece un’impressione malinconica. Adesso vedo che molti edifici sono stati ristrutturati, ed è tornata ad avere un certo splendore”.
Che sensazione prova nel ritornare in queste terre?
“Non ho preclusioni d’alcun tipo, sia per carattere sia per formazione culturale ed intellettuale. Però certo che tornare in una città che è stata originariamente italiana e sentire parlare quasi esclusivamente un’altra lingua mi fa male. Mi abituo dopo qualche ora, ma all’inizio è come un senso di stordimento. Nella mia città natia, Pola, l’italiano o il suo dialetto, si sentono invece un po’ di più. A Pola è più facile sentirsi a casa, forse anche grazie al bilinguismo presente nella segnaletica, cosa che a Fiume, purtroppo non c’è”.
Come vede la comunità dei rimasti. È condannata a sparire da questo lembo di terra?
“È difficile fare una previsione. Penso che l’Unione Italiana stia facendo un ottimo lavoro, come anche il continuo impegno del Ministero degli esteri italiano. Ad essere sincera non lo so. Bisognerebbe avere una sfera di cristallo. Spero, nonostante tutte le complicazione del momento, che con l’ingresso nell’Unione Europea tutto questo trovi un equilibrio che attualmente non esiste. Credo che tutta l’ex Jugoslavia in generale soffra di nazionalismi furibondi. Probabilmente entrare in una dimensione più ampia, forse stempererà questo sentimento così forte e assurdo. Poco tempo fa, leggendo sul 'Corriera della Sera', una risposta del commentatore Sergio Romano ad un lettore, il quale parlava a proposito di queste terre e dei guasti provocati dal comunismo, rispondeva, e sono assolutamente d’accordo con lui, che in realtà il comunismo è solo un problema di facciata. Il problema reale di tutti i Balcani sono i nazionalismi. Una rivendicazione delle diversità contrapposte ad altre diversità che io personalmente trovo insopportabile. Questa ed altre situazioni creano un blocco, che non permette di comunicare con il resto del mondo. Mentre questa terra ha bisogno il contrario, di comunicare. Proveniamo da una parte del mondo rimasta per troppo tempo nell’ombra e va comunicata agli altri e non a noi che siamo, chi direttamente e chi indirettamente, legata ad essa. Con tutte le polemiche che si sono trovate attorno all’istituzione del Giorno del ricordo, penso che l’evento abbia il merito di aver posto all’attenzione dell’intera Italia e anche fuori, questa realtà. È importantissimo che gli italiani sappiano che c’è stata un'altra storia, che esiste una geografia che non conoscono. E io mi batto quando posso e dovunque posso che siano restituiti i nomi. Perché è paradossale che gli italiani vengono qui e dicano: Pula, Rijeka, Mali Lošinj e Poreč”.
Le è autrice di due opere letterarie che ci riguardano da vicino.
“Si tratta di ‘Bora’ del 1999, e ‘Nata in Istria’ del 2006. ‘Bora’ è stata scritto assieme Nelida Milani perché mi sembrava giusto che raccontassimo da entrambe le parti, io come esule, Nelida come appartenente ai rimasti, ognuna il proprio esilio. Sono due esili contrapposti, ma sostanzialmente uguali. La sofferenza è sia di qua sia dall’altra parte. La mia intenzione era di fare anche un operazione di ricongiungimento. Poi ho scoperto, invece, via via nel presentare il libro che gli esuli avevano letto solo la mia parte, mentre di qua, solamente quella della Milani, scartando quello che dicevo io. Ogni volta si perpetua la divisione anziché la composizione”.
“Bora”, sotto questo aspetto, quello del ricongiungimento, è stata abbastanza rivoluzionaria.
“L’ho fatto senza saperlo. Mi è venuto spontaneo, come causa, in un momento della mia vita, nel cercare di ritrovare le mie radici. Venuta via a dieci anni assieme ai miei genitori, la storia che mi veniva raccontata era quella dei miei genitori. Storia che ad un certo punto della mia esistenza doveva per forza diventare anche la mia. E per farla mia avevo bisogno dei miei strumenti, quelli giornalistici e di studio. Devo affermare che è una storia talmente complessa che credo di averla capita con una certa chiarezza solamente ora. Ci ho messo quindici anni, due documentari (‘Istria 1943-1993: cinquant'anni di solitudine’ del 1993, e ‘Istria, il diritto alla memoria’, del 1997, nda.) e due libri. In ‘Bora’ ho raccontato assieme a Nelida Milani il dolore della perdita e la violenza. In seguito ho avuto il bisogno di recuperare la bellezza delle mie radici, e quindi ho cercato di recuperare lo splendore della terra in cui ero nata, i sapori, i profumi e le persone. Così è venuto alla luce ‘Nata in Istria’”.
Com’è stato il suo primo ritorno a Pola?
“Ci ho messo un po’ di tempo a ritornare. Ho faticato. Io, a differenza dei mie genitori che hanno cominciato a ritornarci quasi subito, ho fatto ritorno una prima volta con quello che è oggi mio marito. Volevo fare vedere al mio compagno quant’era bella la mia terra, invece l’ho trovata brutta. Erano gli anni sessanta, il sentimento della guerra era ancora presente, come se fosse passata pochi giorni prima. Facevamo campeggio a Medolino e durante la notte, attorno alla nostra tende si è formato un ‘kolo’ che ha iniziato a cantare in croato. Erano dei giovani imbottiti di propaganda. Noi eravamo chiusi all’interno terrorizzati. Evidentemente, individuata una famiglia di esuli che era ritornata, qualcuno aveva deciso di fare un gesto di intimidazione. All’alba sono spariti e la mia terra, purtroppo, era ridiventata nuovamente una terra di paura. Poi ci sono ritornata per conto mio nel ’93, per fare il fare il primo documentario televisivo (Istria 1943-1993: cinquant'anni di solitudine) e lì finalmente anche se mi accompagnava sempre un vago sentimento di paura, mi sono riappropriata dei luoghi. Ero, con una troupe televisiva e abbiamo ripercorso l’Istria. Nel fare questo primo documentario raccomandavo al regista di non raccontate solo la storia, ma di riprendere anche il mare, le rocce, i palazzi. Insomma di presentare la bellezza dell’Istria. Ricordo che nel consegnare i documenti alla frontiera ero terrorizzata, in quanto sul passaporto era indicata come città natia: Pola. Poiché, secondo il mio modo di vedere, l’italiano che viene da un qualunque altro posto è ben accolto, mentre l’italiano che torna dove è nato, è visto come una minaccia”.
Come sono vissuti oggi i rimasti da parte della popolazione italiana. Sono ancora sempre etichettati come dei comunisti?
“Non ho mai fatto volutamente parte di nessun gruppo organizzato degli esuli. Per i miei documentari non mi sono mai appoggiata a nessuna associazione. Tant’è vero che adesso che ho ricevuto il premio internazionale del Giorno del ricordo per la letteratura, sono rimasta felicemente sorpresa. Perché è un riconoscimento che mi è venuto senza appartenere a niente. Tuttavia, penso che questo modo di considerare i rimasti sia ancor oggi presente. Purtroppo, ci sono dei sospetti dure a morire. La stessa identica cosa accade anche di qua. È presente da parte di chi è restato un risentimento verso gli esuli, perché li hanno lasciati soli".
Come mai la rassegna su Alida Valli?
“È il frutto di una ricerca profonda, quasi personale. Professionalmente mi sono occupata molto di cinema e teatro, e quindi ho incrociato Alida Valli per motivi professionali. La considero come una persona dell’album di famiglia. Mia nonna me ne parlava sempre con affetto, a volte quasi favoleggiando. Avevo bisogno nella ricerca della bellezza delle mie radici, di ritrovare anche Alida Valli. È bello saper di essere nati a Pola, esattamente come lei, e di poter in qualche modo essere orgogliosi di tutto ciò. All’ultimo, come succede spesso quando si invecchia, Alida Valli ha ripescato le sue radici, e si è identificata al punto che la famiglia ha voluto che al suo funerale, celebrato in campidoglio a Roma, sulla bara ci fosse lo stendardo istriano. Una cosa molto toccante, che presenta quanto la Valli era vicina alla sua terra e alla sua gente”.
Che cosa fa oggi Anna Maria Mori?
“La cosa che ama più di tutto, scrivere. Il prossimo 13 maggio, uscirà ‘9 per 2’. Racconta di una donna che aspetta un bambino. Il titolo significa nove mesi per due persone. Nel corso della mia carriera ho lavorato sempre su tre terreni: le donne, il lavoro e l’Istria. Però in realtà, e me ne sono resa conto più tardi, si tratta di un unico terreno, ossia mia madre. Era istriana, era una donna che aveva sempre la 'religione' del lavoro".
Le donne istriane è un mondo femminile particolare?
“Assolutamente sì. Però, la cosa su cui mi sono sempre interrogata, anche guardando mia madre, è perché con questa grande capacità di combattere e di lavorare, di fronte ai loro uomini, tutto sommato più fragili e più deboli, nel momento chiave chinano la testa, tanto da venire sottomesse. È un quesito che non sono mai riuscita a risolvere”.
Quali autori, originari dalle nostre zone, legge oggi Anna Maria Mori?
“In primis Claudio Magris: trovo il suo ultimo libro ‘Alla cieca’, difficile ma molto affascinante. Alla presentazione glie l'ho detto che prima o poi riceverà il Nobel alla letteratura, e lui ridendo mi ha risposto: ‘si, per il mio buon carattere’. Chi lo conosce sa che non ha un buon temperamento. Poi Nelida Milani, che dovrebbe scrivere di più di quello che fa. È veramente dotata di un grande talento. Ci scriviamo delle email settimanali, e le conservo stampate tutte, perché sono un patrimonio. Non è mai banale in niente di quello che pensa e scrive, anche nelle cose più piccole. Leggo poi Fulvio Tomizza, il suo libro ‘La miglior vita’ è uno dei miei preferiti".
Da stimata esperta del settore, come vede il nostro giornale?
“Molto bello e ben fatto. Poco tempo sono stata a Pola, accompagnata da mio marito che è stato caporedattore del TG3 Cultura, e appena si alza la prima cosa che fa è quella di procurarsi i giornali. Prende sempre il vostro quotidiano e lo legge con passione. Colgo l’occasione di rispondere al vostro direttore Silvio Forza, persona che stimo immensamente. So che ha fatto un editoriale attaccando il premio internazionale del Giorno del Ricordo, perché è stato presa in considerazione solo l’Italia e non anche i territori d'insediamento storico, come l'Istria e la Dalmazia. Rispondo: il concorso ‘Istria Nobilissima’ che cosa fa? Non è mai successo che abbia premiato qualcuno dall’Italia. Bisogna essere equi nelle cose”.
Gianfranco Miksa
(Anna Maria Mori lo scorso 9 febbraio riceve il Premio Internazionale dell'ANVGD per il Giorno del Ricordo. Eccola ricevere i complimenti dal Sottosegretario ai Beni Culturali Francesco Maria Giro)