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05 nov – Vespa e la solitudine di De Gasperi sul confine orientale

da Il Piccolo del 5 novembre 2010

Esce oggi il nuovo libro di Bruno Vespa ”Il cuore e la spada. Storia politica e romantica dell’Italia Unita”. Pubblichiamo un ampio stralcio del capitolo «La Resistenza e il ”sangue dei vinti”» per gentile concessione della casa editrice Mondadori.

di BRUNO VESPA

Nel gelo dell’aula, il 10 agosto 1946 la voce del presidente del Consiglio italiano risuonò fermissima, quasi autoritaria: «Prendendo la parola in questo consesso mondiale, sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: è soprattutto la mia qualifica di ex nemico che mi fa considerare come imputato, e l’essere arrivato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loro conclusioni in una lunga e faticosa elaborazione». Racconta James Byrnes, segretario di Stato americano: «Quando De Gasperi lasciò il rostro per tornare al posto assegnatogli nell’ultima fila, scese la navata centrale della sala silenziosa passando accanto a molte persone che lo conoscevano. Nessuno gli parlò. La cosa mi fece impressione; mi sembrava inutilmente crudele… Così quando arrivò davanti alla nostra delegazione, mi alzai e gli tesi la mano. Volevo fare coraggio a quest’uomo che aveva sofferto personalmente nelle mani di Mussolini e ora stava soffrendo nelle mani delle Nazioni Alleate» (”Carte in tavola”).

Concludendo il suo intervento, De Gasperi aveva detto: «Lasciateci l’onore, lasciateci la nostra integrità nazionale che è congiunta con l’onore».

Esattamente sei anni prima, il 10 giugno 1940, il Duce aveva annunciato l’entrata in guerra dell’Italia per non arrivare troppo tardi alla spartizione delle spoglie europee e africane. Ora il presidente del Consiglio doveva lottare disperatamente perché non ci fosse tolto troppo di quel che avevamo conquistato con le guerre d’indipendenza.

A Parigi, egli ottenne il rinvio dell’assegnazione di Trieste, che veniva reclamata da Tito per la Iugoslavia. E questo al suo ritorno in patria gli costò il rimprovero dei comunisti, i quali sostenevano che non era stato autorizzato a compiere quel passo e che bisognava essere realisti. Togliatti era infatti in linea con le richieste sovietiche di attribuire alla Iugoslavia la Venezia Giulia, l’Istria e la Dalmazia. All’inizio di novembre 1946 il segretario del Pci andò in segreto da Tito e tornò con una proposta clamorosa: la Iugoslavia avrebbe ceduto all’Italia Trieste in cambio di Gorizia e di tutto il resto della Venezia Giulia.

De Gasperi s’infuriò e pose il veto, ma pur contando sul sostegno degli Stati Uniti, che avevano fatto sull’Italia un investimento a lungo termine, doveva vedersela con la durezza dell’Inghilterra e, soprattutto, della Francia.

La posizione francese era incredibile. Appena Hitler aveva messo piede a Parigi, nel 1940, oltre metà della popolazione si era schierata dalla sua parte dando vita alla Repubblica di Vichy, che fu smantellata soltanto nel 1944, quando i tedeschi avevano ormai perso la guerra. Ma l’Eliseo era riuscito a cancellare con un tratto di penna quattro anni di vergogna. L’Italia era stata nemica degli Alleati per tre anni, si era riscattata con la lotta partigiana e il rinnovamento dell’esercito, e ora doveva subire proprio dai francesi il trattamento più duro. Furono loro, per esempio, a proporre che 125.000 italiani della Venezia Giulia diventassero cittadini iugoslavi, come sarebbe avvenuto dopo la prevedibile scomparsa del nostro confine orientale, contro i 50.000 proposti dagli americani, i poco più indicati dagli inglesi e i 600.000 (cioè tutti) pretesi dai russi. Poiché il riconoscimento della matrice etnica è sempre quello più corretto, sarebbe stato giusto cedere ai vincitori l’Alto Adige e tenerci Istria e Dalmazia.

Ma De Gasperi teneva molto all’area confinante con il Trentino e, in ogni caso, i sovietici erano fortemente interessati al nostro confine orientale.

Il 10 febbraio 1947 l’Italia fu costretta ad accettare durissime condizioni di pace: cedemmo alla Iugoslavia una parte della Venezia Giulia, l’Istria con Pola e la Dalmazia con Fiume e Zara. Trieste fu divisa e sarebbe tornata italiana solo nel 1954.

Ebbe inizio così il calvario degli italiani rimasti nelle zone passate sotto l’amministrazione del governo iugoslavo. Circa 300.000 persone decisero di tornare subito nella madrepatria. La motonave Toscana intraprese il primo dei suoi dieci viaggi il 3 febbraio 1947, sette giorni prima della firma del trattato. A Venezia i profughi furono insultati dai portuali e a Bologna un convoglio di sventurati non fu accolto in stazione.

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