Ecco il testo completo dell’articolo apparso il 3 gennaio sul quotidiano di Roma “Il Messaggero” (courtesy Gianclaudio De Angelini) e che ha suscitato polemiche per come è stato descritto il Quartiere Giuliano-Dalmata della Capitale.
Dentro il Quartiere Giuliano-Dalmata
Il villaggio operaio ora è residenziale
Arrampicato su una collina: è la riproduzione di una piccola Venezia Giulia
di MARIDA LOMBARDO PIJOLA
Ci sono alcuni sfregi alla memoria che feriscono Roberta, se ripensa all’epica del quartiere Giuliano Dalmata, alla fuga rocambolesca di suo nonno per salvarsi dalle foibe, al dolore dell’esilio, alla fatica dei suoi nel ricostruire a un pezzo della patria a Roma, assieme ad altri 2.500 istriani e dalmati in fuga da Tito. Ma c’è una cosa che la ferisce più di ogni altra. E’ quando qualcuno del quartiere chiede: ma questo signor Giuliano Dalmata chi era? «Che vuoi rispondere? E’ ignoranza».
Invece Roberta Fidanzia, 38 anni, da anni si scatena come una Indiana Jones della memoria nell’esplorazione di quel piccolo mondo segnato da grandi dolori. Divulga ogni leggenda delia diaspora dalla quale ha preso vita il suo quartiere, assai prima che ad impossessarsene arrivassero altre e più eterogenee umanità: ì «nuovi», li definiscono i «vecchi», anche se qui affluiscono da più di quarant’anni. Dicono «i nuovi» per non dire i coloni, i barbari, i Proci, gli invasori o altro così, anche se quelli rappresentano ormai il 90 per cento dei 23.000 che vivono qui, così da poter dire che i giuliano dalmati dell’omonimo quartiere, salvo una esigua minoranza, sono di Roma e delle sue multiformi identità. Un microcosmo nella città multietnica, sebbene l’integrazione tra italiani diversi sia inciampata su qualcosa di impreciso. Roberta, che lavora alla Sapienza, e di questo suo voler essere custode della memoria ha fatto una ragione di vita o poco meno, dice che è colpa di quegli altri: «Guardi qua, guardi là: un museo a cielo aperto, lapidi, cippi, mosaici, vetrate, targhe, le vie e la scuola dedicate ai personaggi della nostra storia, la chiesa a forma di arca, metafora del Toscana, che trasportava i profughi. Ma pochi si chiedono quale sia il significato di questi simboli. Eppure tutto parla di dolore, di nostalgia, di una comunità che qui ha trovato la forza di ricostruire».
Ricostruire la propria terra attorno agli alloggi che avevano ospitato gli operai chiamati a edificare quello che sarebbe diventato l’Eur: padiglioni, successivamente trasformati in case. Il Giuliano Dalmata nacque così, nel ‘ 47. In questo minuscolo quartiere a ridosso della Laurentina, inaugurato da Andreotti, visitato da due papi e da due capi di Stato, tutto è ancora intatto. «Ma nulla è più com’era», sospira Roberta. E quasi tutti ignorano il fatto che questa insolita periferia, così linda, limpida e aggraziata, non sia che la riproduzione in miniatura di un pezzo di Venezia Giulia: un bonsai di metropoli, arrampicato su una piccola collina, aria fresca, ordine, tranquillità, silenzio, piccole palazzine dagli intonaci arancione, giardini alberi fiori, silenzio irreale. «Una proseguimento dell’Eur in un’oasi di pace», s’inorgoglisce Giorgio Marsan, 51 anni, comitato di quartiere Gentes.
E chissà quanto c’è dello spirito ferrigno istriano, nella resistenza grazie alla quale il quartiere ha vinto tante battaglie. «Abbiamo fermato la costruzione di una strada a quattro corsie, e della parte finale della corsia preferenziale per un filobus, strutture che avrebbero fatto strage di verde e di tranquillità». Adesso lottano contro lo spaccio notturno nella piazzetta, («ancora aspettiamo una telecamera che ci hanno promesso da due anni»); contro l’occupazione abusiva di un palazzo Cotral, («120 famiglie in condizioni disumane, e tengono pure bombole a gas sotto il sole sui balconi»); contro il progetto di collocare uffici nel palazzo del vecchio orfanotrofio per bambine coi genitori uccisi dai titilli, («adesso sono vecchie, e per coerenza bisognerebbe fame una residenza per anziani»). Lottano, infine, contro l’Ama, che pulisce solo le strade principali, «e per il resto c’è gente che viene giù con le ramazze».
«Il fatto è che i nuovi sporcano ciò che prima era un salotto», si dispera Lidia Jannuzzi, 66 anni. «E poi si infastidiscono se parliamo in dialetto, se raccontiamo la nostra storia, se li rimproveriamo quando lasciano che i loro bimbi si arrampichino sui nostri monumenti, rovinandoli. I nuovi hanno imbarbarito e disgregato la comunità».Gli esuli ormai si rivedono quasi solo ai funerali, e per il resto stanno acquattati nelle loro case a struggersi di nostalgia, guardinghi e solitari come esemplari di una specie in estinzione respinta dal suo stesso ambiente, senza capire se siano stati loro a emarginare gli altri, oppure viceversa. Ada Viora, Giovanna Vallone e Loredana Dommaruma stanno a chiacchierare in piazza. «Sì, lo sappiamo che ci sono quelli di origine…come si chiama», «qualcuno viene a messa la domenica, mi pare, no?», «credono di essere chissà che cosa», «sono riusciti a farci togliere pure il mercatino». Mercatino di corso Senigaglia, «colpevole della morte di Tullio Sincich, colpito da malore: ha bloccato l’ambulanza», s’indigna Lidia. Era il pivot della leggendaria squadra di pallacanestro Giuliana, campione in serie A. «C’è una targa sulla sua abitazione, eppure nessun sa chi sia», si strugge nuovamente Lidia.
«Ignoranza», ripete Donatella Schurzel, presidente provinciale dell’associazione Venezia Giulia e Dalmazia. «C’è gente che vive nel nostro quartiere da anni ignorandone la stpria, senza desiderare di conoscerla. Ai bimbi delle elementari, per esempio, nessuno aveva mai spiegato chi fosse Tosi, al quale la loro scuola è dedicata. Abbiamo apposto una targa, spiegando che era un grande educatore annegato dai titini, ed i suoi alunni andarono a recuperarne il corpo nell’Adriatico». Roberta, poi, organizza moduli su moduli per raccontare nelle scuole le sventure di tutti quegli Ulisse che ricostruirono la loro Itaca altrove. «Adesso, talvolta, vedo bimbi che portano per mano i loro genitori davanti ai monumenti e spiegano», e un po’ lei si commuove.
La piccola Lucia, per esempio ha scritto in un tema: «Adesso che conosco tutta la storia, chiedo scusa al mio quartiere per non aver saputo». Era ignoranza. A volte, se presa in tempo, puoi guarire.