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07 nov – ”Trst je nas” finisce in una risata

Di Mauro Manzin su Il Piccolo del 7 novembre 2009 

Una risata vi seppellirà. ”Trst je naš!” (Trieste è nostra), il cortometraggio del regista sloveno Virc, prodotto dall’Accademia slovena, ha sciolto ieri sera a Sesana, alla prima, tutta la tensione che si era creata nei giorni scorsi attorno all’opera. Un’opera buffa, una sorta di ”wargames all’amatriciana”, da cui traspare una chiara autoironia sull’imperante jugonostalgia slovena piuttosto che presentare temi revanscisti nei confronti di Trieste.

Alla ”soirée” nessuna signora impellicciata, ma c’è il tutto esaurito. Il teatro ”Srecko Kosovel” è strapieno (700 persone). Metà pubblico giovane, metà anziano.

L’aspettativa è grande, figuriamoci per una cittadina come Sesana che ha avuto l’onore e l’onere di ospitare la prima del film sloveno più dibattuto degli ultimi 20 anni.

All’esterno grande fila naturalmente, ma nessun cartellone di protesta, nessun fischio, tutto normale e praticamente assenti le forze di polizia. Poco elegante, invece, la presentazione del film da parte del direttore del Centro culturale, il quale nel salutare il pubblico usa non solo il convenevole «signore e signori», ma anche «compagni e compagne» (e qui scatta l’applauso di tutta la sala), aggiungendo poco dopo, con una pausa da comico consumato, «e cari amici e care amiche» (risata, un po’ meno fragorosa dell’applauso precedente, a dire il vero).

Dunque sembrava che qualche cosa di strano dovesse succedere, ma bastano i primi fotogrammi del ”corto” a smentire clamorosamente l’humor fuori posto del direttore.

Non appena l’immancabile suono popolare della fisarmonica conclude le sue note, il film inizia. E capisci subito, dalle prime battute, che di violento o di provocatorio non ci sarà niente. ”Wargames all’amatriciana”, o meglio ”gnocchi di guerra alla carsolina” (anche se le scene non sono state filmate sull’altipiano) come quelli mangiati dal panciuto protagonista, un contadino che settimanalmente raduna un gruppo di jugonostalgici che, a bordo di raffazzonate jeep e con armi del 1945, si riuniscono a ”giocare ai partigiani”. Ma lui, il panciuto maggiore fa sul serio, lui non riesce a digerire la storia. Ma nelle sue parole non c’è odio, non c’è rancore, solo un sogno che diventa un gioco da Peter Pan attempato.

Lui, che ossessivamente racconta al suo allampanato attendente che il berrettino con la stella rossa (la ”titovka”) gliela aveva regalata suo padre il primo giorno di scuola, dicendo che: «Una guerra come quella non dovrebbe mai più succedere!». Lui, che davanti ai suoi ”commilitoni” viene preso dalla moglie e portato a casa in automobile a lavorare nei campi. Ma la sua ”passione” è irrefrenabile, lui che ha un’enorme statua di Tito nel soggiorno della casa colonica (ma i busti di Tito oggi si posso liberamente acquistare al prezzo di 10 euro in qualsiasi negozio di souvenir di Lubiana) e che la notte recita a memoria, in una sorta di grottesco play-back i discorsi del Maresciallo.

La polizia slovena lo avverte amichevolmente: «Devi smetterla con queste scemenze altrimenti finirai male». Ma non basta, il nostro Sancho Panza (vista la stazza anche se il carattere è quello di Don Chichiotte) non si ferma. Anzi, passa all’attacco finale. Lo scontro con un manipolo di tedeschi (altri compari del wargame) sta un po’ tra gli spaghetti western e i film di guerra di bassa lega. E per la polizia slovena il limite è stato sorpassato. Intervento per ”smilitarizzare” gli assurdi manipoli, ma con la figlia del protagonista che a cavallo afferra la bandiera jugoslava, sì quella con la stella rossa nel centro, e la sventola sulle colline. Una sorta di cavalcata delle walkirie che ha, anch’essa, più il sapore della sconfitta che di una vittoria nei confronti di un nemico che non è mai esistito.

Tutto qui. Forse per la prima volta la Slovenia riesce a prendere in giro se stessa e il regista diventa una sorta di Forattini, creando una serie di indimenticabili caricature. Della storia, ma anche del presente. Non fosse altro per la battuta finale quando la moglie, a letto, chiede al nostro ”eroe”: «Allora sei contento, avete conquistato Trieste!». E lui, leggendo rigorosamente un libro di storia su Tito, palcidamente replica: «Sì, ma ora tocca all’Istria».

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