di Piero Tallandini su Messaggero Veneto dell’8 novembre 2011
Gorizia. Piú che il progetto di un film è un’autentica sfida quella che sente di dover affrontare il regista Luca Lucini, 44 anni, milanese, reduce dal successo di pellicole come Tre metri sopra il cielo, Amore bugie e calcetto, Oggi sposi e l’ultimo La donna della mia vita con la Sandrelli, Argentero e Gassman. Incentrare un lungometraggio sul dramma dell’esodo istriano-dalmata, affrontando cosí una vicenda storica di fatto ignorata dalla cinematografia italiana: una sfida autentica, lo dice lui stesso, perché Lucini è il primo a sapere quanto quello dell’esodo sia ancora un tema delicato, che è stato rimosso per troppo tempo dai libri di storia e che al quale per decenni la politica ha guardato con distacco o attraverso la lente deformante dell’opportunismo di parte. Del progetto, in anteprima nazionale, si parlerà oggi in una terra di frontiera, Gorizia, dove tanti esuli istriani e dalmati trovarono rifugio.
Un incontro pubblico organizzato dall’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia al quale sarà presente Stefano Zecchi, autore del libro Quando ci batteva forte il cuore: la storia di Sergio, sei anni, che da Pola nel 1945 comincia un’avventura che lo porterà a riavvicinarsi al padre, un viaggio che coincide con l’esodo e lo porta a vivere da testimone quel periodo di tragedie e speranze di rinascita. Nell’incontro odierno sarà dunque annunciata l’iniziativa cinematografica: avrebbe tenuto a farlo personalmente lo stesso Lucini, ma all’ultimo minuto, impegni lavorativi lo hanno obbligato a stare lontano da Gorizia. Ma ecco come il registra ci ha anticipato il progetto del primo film italiano sull’esodo.
– Come è maturata l’idea di realizzare un film su un tema misconosciuto come l’esodo?
«Una delle ragioni è proprio il fatto che si tratta di una pagina che per troppo tempo è stata strumentalizzata politicamente, a destra come a sinistra, ed è rimasta sostanzialmente sconosciuta agli italiani. Per questo, dopo aver letto il romanzo di Zecchi, ho pensato che fosse doveroso fare un grande film italiano che finalmente porti sul grande schermo la vicenda dell’esodo senza pregiudizi, senza condizionamenti, attraverso gli occhi di un bambino, come Sergio».
– Al di là dell’istituzione della giornata del ricordo, i tempi sono maturi?
«Io ho 44 anni e mi ricordo che, a scuola, dell’esodo non si parlava mai. Poi, da elettore di sinistra, mi sono reso conto che la mia stessa parte politica per troppi anni ha sottaciuto questa vicenda. Non mi vengono in mente film che parlino dell’esodo, tranne forse, in parte, Porzûs. Ma del resto tanti esuli mi hanno spiegato che a volte anche nelle stesse famiglie fuggite da Istria e Dalmazia si tendeva a rimuovere quella vicenda, quasi per allontanare il dolore del ricordo».
– Cosa ha trovato, nel libro di Zecchi, che ha fatto scattare la “scintilla”?
«Anzitutto la vicenda meravigliosa di questo bimbo, raccontata da Zecchi in modo delicato ed efficace, in cui si delinea la disgregazione di una famiglia e poi il percorso di riavvicinamento fra Sergio e suo padre. Nel libro, cosí come nel film su cui stiamo lavorando, il valore aggiunto è rappresentato proprio dal fatto che lettore e spettatore vengono immersi in quel contesto storico attraverso il punto di vista, incontaminato e ingenuo, di un bambino di appena 6 anni che non può comprendere quello che gli succede attorno, ma che proprio per questo riesce a farci capire tutta l’insensatezza della guerra e la tragedia di chi è costretto a lasciare per sempre la propria casa, la propria terra. Ecco perché questa è anche una storia di valore universale. Penso a quella scena molto bella nella quale Sergio e il padre arrivano a Trieste come profughi e alla stazione gli urlano: “Fascisti!” Il bambino coglie perfettamente che è una cosa insensata, ridicola. Ed era cosí anche nella realtà».
– A che punto è la realizzazione di questo progetto cinematografico?
«Una prima stesura della sceneggiatura è completata e la stiamo facendo leggere ad attori di livello anche se per il momento non posso rivelare i nomi. Spero si convincano perché credo che questo progetto, il libro a cui si ispira e il contesto storico che tratta meritino degli interpreti di prim’ordine. In questo senso andremo avanti solo se il cast sarà quello che auspico».