Di fronte a Napolitano, alle autorità e agli Esuli, Guido Brazzoduro, vicepresidente ANVGD, ha tenuto il discorso ufficiale alla commemorazione del Giorno del Ricordo. Ecco il testo completo del suo intervento.
"Signor Presidente, Autorità, Signore e Signori,
E’ il quinto anno che ci ritroviamo in questa cornice per celebrare il Giorno del Ricordo, che la legge del 2004, con voto quasi unanime del Parlamento, ha stabilito divenisse occasione solenne per far conoscere e spiegare a tutti gli italiani una pagina della nostra storia, che è anche la loro.
Non è in questa sede che dobbiamo ripercorrere tutti gli eventi susseguitisi nelle nostre terre dal 1943 in poi e fino ai trattati internazionali: innanzitutto il trattato di pace del 10 febbraio 1947, che in questo giorno viene ricordato come atto formale, che sancì la perdita per l’Italia delle terre del confine orientale, riunite alla madrepatria con gli immani sacrifici della prima guerra mondiale, e quindi per noi, Istriani, Fiumani e Dalmati, momento unificante del mondo dell’Esodo. Vennero poi il Memorandum di Londra del 1954 e i trattati bilaterali tra Italia e Iugoslavia fino al 1983, che in modo diversamente sentito dall’opinione pubblica nazionale hanno regolato i rapporti tra i due Stati, spesso con conseguenze giuridiche negative per i diritti dei cittadini.
E’ stato un periodo difficile per l’intera nazione, in cui, ai gravi problemi della ricostruzione dopo l’infausta e distruttrice seconda guerra mondiale, si è presentato il pesante problema di definire di fronte agli Stati vincitori i confini nord-orientali e le conseguenze sulle popolazioni di quei territori.
Impietoso è stato l’atteggiamento delle potenze vincitrici nell’imporre soluzioni che non tenevano conto dei diritti delle popolazioni coinvolte e dove hanno influito più gli equilibri di potere e le sfere di controllo a livello mondiale che l’attenzione ai problemi ed alle attese delle parti. Unanime fu al riguardo il giudizio della nostra Assemblea Costituente che stava ponendo le basi della nuova democrazia italiana, malgrado un’intera regione del Paese sotto amministrazione militare straniera non avesse potuto eleggere i suoi rappresentanti.
I successivi accordi bilaterali degli anni Cinquanta e Sessanta disattesero anche lo spirito e la lettera dei rapporti giuridici stabiliti dallo stesso trattato di pace per il regime dei beni lasciati dagli esuli italiani.
Una volta di più è apparso chiaro come in situazioni storiche così gravi i diritti dei vincitori prevalgano fino a conculcare i diritti dei vinti.
Quante eroiche figure delle nostre terre hanno testimoniato con azioni coraggiose la loro italianità e l’attaccamento alla patria, come alla loro fede religiosa, e per questo hanno pagato con la vita; non durante eventi bellici e solo nel primo dopoguerra, ma fino ai primi anni Cinquanta: dal Sen. Riccardo Gigante al Sen. Icilio Bacci, dei quali manca ancora l’effige tra i senatori italiani a Palazzo Madama; dai tanti sacerdoti e fedeli a Don Francesco Bonifacio, primo sacerdote delle nostre terre salito agli onori dell’altare lo scorso anno.
D’altro canto se consideriamo le decine, centinaia di persecutori ed infoibatori della popolazione italiana in Istria, Fiume e Dalmazia, che a guerra finita fecero scomparire migliaia di cittadini innocenti e di civili inermi, vediamo che hanno vissuto impuniti e nemmeno giudicati per i crimini commessi. Bisogna concludere che la bilancia della giustizia ha spostato l’ago da una sola parte.
Mi piace qui ricordare quanto da Lei affermato, Signor Presidente, in occasione delle celebrazioni del 4 Novembre scorso a Redipuglia: in particolare l’importanza che i giovani delle nostre scuole possano studiare la storia della patria, unendo idealmente le tre Guerre di Indipendenza con la Grande Guerra, come compimento dell’Unità d’Italia, che poi, con la seconda guerra mondiale, ha dovuto subire un’amputazione al confine orientale.
Per tutto ciò auspichiamo e chiediamo a Lei, Signor Presidente perché con la Sua autorevolezza possa favorire e far attivare un gruppo di studiosi, affinché in modo scientifico, imparziale ed obiettivo possano analizzare e scrivere questa pagina di storia nazionale ancora taciuta, pur a tanti decenni di distanza, non lasciandola ad una trattazione quasi solo giornalistica, come avvenuto fino ad oggi.
Mi permetto ancora di aggiungere che non si tratta solo di stabilire il numero di persone che sono state infoibate, quanti gli scomparsi, quanti gli esuli, ma anche e soprattutto come quei tristissimi fatti hanno costretto all’esodo la quasi totalità della popolazione italiana dalle terre perdute. Non si dica più che la motivazione era politica, come di una parte soccombente, perché fu la quasi totalità di quelle genti, di ogni ceto ed estrazione, che ha voluto rimanere italiana di lingua, cultura e tradizioni, radicate negli animi non solo per un’amministrazione italiana di due decenni, ma per un modo di sentire profondo, plurisecolare, presente in quelle terre.
Per questo parliamo di uno sradicamento, ancor più significativo se ricordiamo che in quelle zone di confine era caratteristica la multietnicità, la multicultura, dove diverse componenti erano abituate a convivere nel passato. Se quindi la componente italiana, principale e prevalente in Istria, a Fiume, a Zara, si è sentita costretta a lasciare tutto, qualcosa di determinante e non vincibile deve essere successo!
Oggi ci troviamo qui, alla Sua autorevole presenza per un momento di solidarietà, per un alto impegno istituzionale, affinché la verità si affermi e la giustizia prevalga.
Dobbiamo anche ricordare la presenza e l’attività della Comunità Nazionale Italiana in Croazia e Slovenia, per la costanza e l’impegno a riconoscersi nei valori che ci accomunano e per la funzione della nostra lingua e cultura, in particolare nelle scuole che formano i giovani che domani continueranno a rappresentare la nostra identità e i nostri ideali di convivenza e di democrazia, anche grazie all’aiuto dello Stato italiano. Come esuli ci sentiamo a loro vicini, uniti dalle comuni terre di origine.
Siamo quindi determinati tutti ad operare non certo per interesse di parte, ma con convinzione sincera, per una ricerca di conciliazione e pacificazione, prima a livello nazionale – con quanti ancora non conoscono e negano ciò che è accaduto ai confini orientali d’Italia – ma anche a livello internazionale con gli Stati e i popoli vicini.
Anche loro chiedono un gesto di pacificazione, che non può essere proposto senza una vera e profonda conoscenza dei fatti, che non venga smentita domani, quando usciranno dagli archivi di ogni nazione coinvolta i documenti di quanto è varamente accaduto in quelle terre in tutto l’arco del secolo scorso; con lo sforzo di ognuno di non anteporre l’affermazione dei torti subiti, ma facendo prevalere l’equilibrio e la giustizia nel riconoscere prima gli errori e le responsabilità che la propria parte ha commesso.
Solo con questo spirito ci si potrà proclamare figli di un’Europa unita, partecipe, consapevole e non soltanto dichiarare una formale appartenenza per valutazioni di interesse economico del momento.
In questo senso anche Lei, Signor Presidente, è intervenuto negli ultimi due anni in occasione del 10 Febbraio con autorevoli affermazioni, che sono state talora fraintese fuori dei nostri confini per non essere state lette con quel senso di responsabilità storica e di apertura ideologica con le quali erano state espresse. Si è avuta l’impressione di recente – come hanno osservato autorevoli studiosi e giuristi – che nuove divergenze di frontiera e interpretazioni diverse dell’idea comune di Europa e della conseguente estensione geografica dell’Unione Europea abbiano finito per influenzare il giudizio storico sull’Italia in quanto tale e sulle vicende tragiche che hanno coinvolto i popoli dell’area nord-adriatica nella seconda guerra mondiale.
E’ con senso di responsabilità e desiderio di superare le conseguenze di tutti i totalitarismi che vogliamo, con i Paesi vicini, cooperare e costruire la nuova Europa.
Su questi principi si basa ed assume valore il nostro Giorno del Ricordo, perché tutti possano diventarne convinti assertori. Grazie."
(il vicepresidente ANVGD Guido Brazzoduro)