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10 feb – Nel Giorno del Ricordo, scordato Sergio Endrigo

Oggi si celebra il “Giorno del ricordo”, istituito con Legge n. 92 del marzo 2004 in memoria dei martiri delle foibe e dei profughi giuliani, istriani e dalmati, che dopo l'armistizio dell`8 settembre e fino alla primavera del 1945 furono perseguitati, fucilati e gettati nelle foibe, voragini carsiche d`Istria perchè considerati ‘nemici del popolo` dalle milizie partigiane del maresciallo Tito.

La Rai ha approntato una programmazione speciale che attraverserà il palinsesto di Reti e Testate.

Sarebbe stata l’occasione giusta e doverosa per rendere omaggio a Segio Endrigo, un grande artista italiano ma pure uno dei più dimenticati da vivo e da morto: peccato! E’ davvero doloroso e inquietante rendersene conto e dovendo prenderne atto. Nato a Pola, Sergio Endrigo trascorse l'infanzia in Istria. Nel febbraio 1947 fu costretto, a causa delle vicende seguenti alla fine della seconda guerra mondiale, ad abbandonare la città natale insieme alla madre e a trasferirsi come profugo prima a Brindisi e poi a Venezia (vicende queste che anni dopo racconterà nella sua canzone intitolata 1947).

Sono nato a Pola il 15 giugno 1933 a mezzogiorno in punto da Romeo Endrigo e da Claudia Smareglia. Pola era il capoluogo dell’Istria: nel 1947 è stata assegnata alla Jugoslavia e adesso è in Croazia. Mio padre Romeo era figlio di uno scalpellino che aveva la sua baracca di lavoro proprio davanti al cimitero. Al cimitero di Pola ci sono molte sue sculture e bassorilievi in marmo. Le ho riviste nel 1963, passando per Pola, mentre mi recavo in vacanza con mia moglie a Lussinpiccolo (oggi Malilosini), dove da ragazzino ero stato ospite di mio zio. Negli uffici comunali della mia città natale e nella provincia c’erano le riproduzioni in gesso dei busti di Mussolini e di Vittorio Emanuele III scolpiti originariamente in marmo da mio padre. Inoltre era anche tenore (autodidatta): cantò dal 1922 al 1924 e con grande successo. In quegli anni si esibì al Teatro Dal Verme di Milano ne La Bohème e nella Madama Butterfly. La Scala era chiusa a causa dei bombardamenti della prima guerra mondiale, quindi il Dal Verme era il primo teatro di Milano.

Devo dire però che praticamente io non ho potuto conoscere mio padre, perché dai tre ai sei anni fui ospite dei miei zii a Trieste, e lui morì nel 1939 quando io avevo sei anni.

Mia madre andava a letto molto presto perché lavorava la mattina. Ed io, con il lume a petrolio, facevo mezzanotte. Avevo una piccola collezione di francobolli regalatimi da uno zio. La diedi al maresciallo per il quale lavorava mia madre ed in cambio lui mi diede i soldi necessari per comprarmi una chitarra. È successo a Venezia ed avevo 14 anni. Stavo partendo per andare a passare tre anni in un collegio per profughi giuliani e dalmati a Brindisi (nel 1947 la regione dell’Istria è stata riconosciuta alla Jugoslavia e tutti gli italiani lì residenti furono costretti ad espatriare).
Perché ho scelto la chitarra? Mia madre non aveva certo i soldi per farmi studiare il pianoforte e poi la chitarra è facile, fa “strimpellare”, costa poco, è facile da trasportare ed è adatta per accompagnare la propria voce…
Qualche anno prima volevo studiare il violino. Purtroppo non c’erano i soldi né per lo strumento né per le lezioni”.

”Capitò che il nuovo direttore delle Poste a Venezia fosse nativo di Pola e che mia madre lo conoscesse. E così mia madre mi disse che avrei potuto entrare in Posta come portalettere e poi, con un concorso interno, andare allo sportello delle raccomandate. Le risposi che da quel momento non le avrei più chiesto aiuto e che mi sarei arrangiato da solo ma che in Posta non volevo entrare. Andai a Udine in treno all’ I.R.O. (International Refugee Organization) per tentare di emigrare in Canada o in Australia. Non mi presero perché quel giorno reclutavano boscaioli ed io non avevo il fisico adatto”.

Lo scrive lo stesso Sergio Endrigo nella sua amara autobiografia. Ma qua ci fermiamo. Non desideriamo, al momento, che ricordanre la grandezza come cantautore e come uomo. ma ricordarme pure il dileggio.

Poco dopo la mezzanotte del 3 febbraio 1968, l'ANSA trasmetteva la notizia "flash" della conclusione del festival di Sanremo. "La canzone che ha vinto il festival di Sanremo – scriveva – è 'Canzone per te' cantata da Sergio Endrigo e Roberto Carlos, con voti 306. Al secondo posto 'Casa bianca' (Ornella Vanoni e Marisa Sannia) voti 255, al terzo posto 'Canzone' (Celentano – Milva) voti 251".

Il cantautore di Pola inseguiva da tre anni la vittoria al festival ma non era mai riuscito ad ottenere il successo pieno. Quell’anno il grande Louis Armstrong, prese parte alla gara di Sanremo con "Mi va di cantare". Un anno davvero speciale.

Peccato no lo sia pure questo un anno speciale, nel ricordo meritato del grande Sergio Endrigo, l’autore che meglio di ogni altro, al pari di Gianni Rodari, ha dato all’Italia pagine importanti per la cultura dell’infanzia.

Endrigo rimane indissolubilmente legato al mondo della poesia, avendo stabilito rapporti con Ungaretti, Pasolini, Ignazio Buttitta e Vinicius de Moraes.

Proprio dalla collaborazione con Ungaretti e De Moraes venne fuori l'album "La vita amico è l'arte dell'incontro", interamente dedicato a canzoni per i bambini e per l'infanzia, scritte con De Moraes: "La casa" e "Il pappagallo", ad esempio. Un grande successo che mise le basi per costruire un rapporto speciale e proficuo con il mondo dell'educazione, proseguito attraverso l'amicizia con Gianni Rodari. "Ci vuole un fiore", è il brano più famoso e conosciuto da cui un lavoro teatrale dedicato alle scuole, alle famiglie e agli studenti di tutta Italia.

Tra le sue canzoni di maggior successo ricordiamo "Mani bucate", "Teresa", "Lontano dagli occhi", "Io che amo solo te", "La ballata dell'ex" (la storia di un partigiano fedele ai vecchi ideali finito in galera mentre altri facevano carriera). "Girotondo intorno al mondo" (da una poesia di Paul Fort), "La colomba" (su una lirica di Rafael Alberti), "La rosa bianca" sono altri grandi brani nati dal connubio naturale tra musica e poesia.

M.M.
____________
Sergio Endrigo, 1947 (testo)

Da quella volta
non l’ho rivista più,
cosa sarà
della mia città.

Ho visto il mondo
e mi domando se
sarei lo stesso
se fossi ancora là.

Non so perché
stasera penso a te,
strada fiorita
della gioventù.

Come vorrei
essere un albero, che sa
dove nasce
e dove morirà.

È troppo tardi
per ritornare ormai,
nessuno più
mi riconoscerà.

La sera è un sogno
che non si avvera mai,
essere un altro
e, invece, sono io.

Da quella volta
non ti ho trovato più,
strada fiorita
della gioventù.

Come vorrei
essere un albero, che sa
dove nasce
e dove morirà.

Come vorrei
essere un albero, che sa
dove nasce
e dove morirà!

 

 

 

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