Il 28 ottobre 1921 ad Aquileia, le cui vestigia romane rimandano a quella X Regio Venetia et Histria disegnata dall’Imperatore Augusto nella sua partizione dell’Italia, Maria Bergamas, madre di un volontario irredento caduto in battaglia la cui salma rimase dispersa, era stata chiamata ad una scelta.
Davanti a lei si trovavano le 11 bare di caduti ignoti provenienti da 11 diversi settore del fronte italiano di quella Grande Guerra che si era conclusa tre anni prima e che per molti italiani, in particolare quelli residenti nelle terre irredente del Trentino, della Venezia Giulia, del Carnaro e della Dalmazia, era stata la Quarta guerra d’indipendenza necessaria a perfezionare il percorso di unificazione nazionale avviatosi nel Risorgimento. Nel suo proclama di entrata in guerra lo stesso Re Vittorio Emanuele III aveva sottolineato questa continuità.
I nuovi armamenti, le nuove dottrine militari e la guerra di logoramento in trincea erano però ben diverse dalle epiche battaglie del Risorgimento. Si combatteva per Trento e Trieste, le spallate di Cadorna contro le difese austro-ungariche si vanificarono nelle 12 Battaglie dell’Isonzo, la sconfitta di Caporetto portò in prima linea i Ragazzi del ’99, Diaz frenò l’avanzata nemica sulla linea del Piave e del Grappa ideata dal suo predecessore e strenuamente difesa al cospetto dei dubbiosi alleati dal “Re Soldato” nella riunione di Peschiera. I clamorosi successi dei MAS nell’Adriatico e la vittoria nella Battaglia del Solstizio gettarono le basi per lo slancio finale che portò a Vittorio Veneto e all’armistizio di Villa Giusti. Il “secolare nemico” era stato sconfitto, con un immane sforzo economico e produttivo e soprattutto con il sacrificio di oltre 600.000 caduti ed un numero ancor più cospicuo di feriti, molti dei quali mutilati, ragion per cui l’espressione dannunziana “vittoria nostra non sarai mutilata” (vergata dal Vate sulle colonne del Corriere della Sera ancor prima della fin del conflitto) colpì profondamente l’immaginario collettivo. Ma ben più impressionante fu il numero di salme rimaste ignote, impossibili da identificare per le condizioni in cui granate, gas o mitragliatrici avevano ridotto i fanti all’assalto.
Ecco perché in quelle bare allineate si poteva riconoscere una nazione intera, ciascuna di esse poteva contenere un figlio, un marito, un fratello, un amico… Affranta ed emozionata, Maria Maddalena Bergamas scelse la decima bara, che fu caricata su un treno militare che avrebbe lentamente attraversato la penisola fino a giungere a Roma il 4 novembre, ove un trionfale corteo avrebbe accompagnato la salma del Milite Ignoto fino al Vittoriano, nel cui complesso monumentale l’avrebbe accolta l’Altare della Patria. Ali di folla accompagnarono quel viaggio, un popolo che si era fatto nazione rendeva omaggio ad un caduto senza nome che rappresentava una generazione che aveva quotidianamente affrontato le più terribili armi spesso nelle condizioni climatiche più avverse per tre anni e mezzo.
Come è giusto che sia, questo centenario viene affrontato in maniera solenne dalle istituzioni, sempre più Comuni attribuiscono la cittadinanza onoraria al Milite Ignoto, cerimonie e convegni lo celebrano e il popolo dell’esodo giuliano-dalmata ricorda con particolare gratitudine quel soldato che assieme ad altre centinaia di migliaia sacrificò la sua gioventù per portare il Tricolore nelle terre di lingua, storia e cultura italiana dell’Adriatico orientale.
Lorenzo Salimbeni
Il Piccolo – 23/10/2021
Libero: Il Milite Ignoto che vinse la Grande Guerra e fece terminare il massacro per l’Europa – 26/10/2021
Avvenire: A un secolo dalla sepoltura al Vittoriano. Milite Ignoto, culto o memoria? – 14/10/2021
Il Giornale: Ecco come, cento anni fa un corpo dimenticato diventò simbolo della Nazione – 24/10/2021
RaiNews: L’Italia nella Grande guerra. Il Milite ignoto al Vittoriano, la storia – 25/05/2015
Marcello Veneziani – Quando il popolo italiano si sentì nazione – 27/10/2021 (La Verità)