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10apr12 – L’inutile polemica sui quadri istriani: restino in Italia

Al secondo piano del Civico Museo della Civiltà lstriana, Fiumana e Dalmata di via Torino a Trieste c’è una sala detta dei Capolavori (o anche dei Desideri e della Giusta Speranza) che accoglie le riproduzioni dei capolavori “istriani”, conservati dal 1940 al 2002 nel Museo Nazionale di Palazzo Venezia, dove vennero trasferiti a titolo cautelativo da musei locali e da chiese e conventi dell’Istria settentrionale, in particolare da Pirano e Capodistria, all’inizio della Seconda guerra mondiale. Sono dipinti di Paolo Veneziano, Alvise Vivarini, Vittore e Benedetto Carpaccio, Matteo Ponzone, Giambattista Tiepolo e di altri maestri dell’arte veneta rinascimentale, nonché sculture di Alessandro Algardi, Tiziano Aspetti e della bottega di Niccolò Roccatagliata. Ogni tanto si presenta qualcuno, in Slovenia soprattutto, che parla di “opere trafugate” e ne reclama la “restituzione”.

 

È quanto avrebbe fatto di recente – lo riporta la stampa italiana – il ministro degli Esteri sloveno, Karl Erjavec, al punto da spingere Roberto Menia, coordinatore nazionale di Fli, a presentare un’interrogazione parlamentare firmata anche da Angelo Compagnon (Udc), Isidoro Gottardo (Pdl) e Alessandro Maran (Pd). “Tale richiesta ha dell’incredibile e del grottesco sotto tutti i profili. È necessario sapere quali siano le intenzioni del Governo sulla questione, se si sia già posto un netto rifiuto alle richieste slovene e in che modo si intenda fornire rassicurazioni al mondo degli esuli italiani dell’Istria”, sta scritto nell’interrogazione. Per i parlamentari, si tratta di capolavori che “furono spostati (non certo trafugati) tra il 1939 e il 1940, da Capodistria, Isola, Pirano a Roma, per preservarli dai pericoli dell’incipiente conflitto”; un provvedimento indispensabile a preservare i capolavori dell’arte italiana dai bombardamenti aerei alleati, dalle razzie tedesche e, nella Venezia Giulia, dai saccheggi e dalle devastazioni che seguirono all’occupazione delle truppe di Tito. “Va precisato che Isola, Pirano e Capodistria vennero cedute alla Jugoslavia solo con il trattato di Osimo del 1975 e che la Slovenia indipendente si è creata solo nel 1991. Le parole del ministro sloveno appaiono, dunque, contrastanti sia con la storia sia con la logica”, concludono i parlamentari.

 

In un comunicato dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, firmato dal presidente Rodolfo Ziberna, si precisa che il trasferimento avvenne “da territorio italiano a territorio italiano”, disposto dal Ministero dell’educazione nazionale – Direzione generale Antichità e Belle Arti, allo scopo specifico di proteggerle dai pericoli del conflitto”. E si ricorda come nel 2002 “la Soprintendenza speciale per il polo museale romano, che le aveva in consegna, ricevette dall’allora sottosegretario di Stato per i Beni e le Attività Culturali, Vittorio Sgarbi, il permesso di aprire le casse istriane”. Le opere vennero quindi assegnate alla Soprintendenza per i Beni Architettonici, il Paesaggio e il Patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico del Friuli Venezia Giulia, che ha provveduto al loro restauro con un finanziamento straordinario del Ministero. Il 22 giugno 2005 venne inaugurata a Trieste al Museo Rivoltella la Mostra “Histria. Opere d’arte restaurate: da Paolo Veneziano a Tiepolo”, sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica, curata alla Soprintendenza per i Beni Architettonici, il Paesaggio e il Patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico del Friuli Venezia Giulia, dal Comune di Trieste e dall’Anvgd e finanziata con i fondi attribuiti all’Associazione stessa dalla Legge n. 72/2001 (tutela del patrimonio storico e culturale delle comunità degli esuli italiani dall’Istria, Fiume e Dalmazia)”.

 

“Sulla proprietà delle opere e sulla legittimità del loro originario trasferimento e ricovero non sussistono problemi di carattere giuridico-diplomatico, come hanno sottolineato a suo tempo i competenti Uffici del Ministero degli Esteri. Sarebbe grottesco e fonte sicura di reazioni negative dell’opinione pubblica giuliana, e italiana in generale, se si prestasse il benché minimo credito alla rinnovata pretesa di restituzione”, come si ribadisce nel comunicato dell’Anvgd, la cui presidenza, insieme con la Federazione delle Associazioni degli Esuli, è ripetutamente intervenuta presso le competenti istituzioni italiane ogni qual volta i governi della Repubblica di Slovenia hanno avanzato richieste in tal senso.

 

Tornando alla Sala di cui in apertura, la sua esistenza sta a indicare una precisa volontà, vissuta almeno in certi ambienti di esuli, di ottenerne la collocazione nell’ambito del Museo di via Torino. In quanto parte integrante di una civiltà istriana, di cui si sente custode ed erede. L’unico in grado di valorizzare e preservare – dal rischio di (im)probabili scempi nel territorio da cui proviene – questo inestimabile patrimonio.

 

(fonte “La Voce del Popolo” 7 aprile 2012)

 

 

Vittore Carpaccio, Entrata del podestà capitano Sebastiano Contarini nel duomo di Capodistria, 1517.

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