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Il negazionismo delle foibe e il messaggio di Napolitano (Il Piccolo 06 feb)

“Svarioni o falsità, mistificazioni”, scrive Claudia Cernigoi in risposta a chi chiedeva delucidazioni relative alle mostre ospitate dal “Civico Museo della Civiltà Istriana, Fiumana e Dalmata”. Nello specifico la mistificatrice Cernigoi si riferisce all’iniziativa “Esodo: la tragedia di un popolo”, inaugurata il 9 febbraio scorso, dedicato al “10 Febbraio-Giorno del Ricordo”, a cura dell’Istituto Regionale per la Cultura Istriano-Fiumano-Dalmata e della Lega Nazionale.

 

Orrore il quadro dal titolo “Druze l’infoibatore”. Vergogna su chi riesce a prender difesa riguardo a chi fu promotore della pulizia etnica slavo-comunista, definendo come falsità “il lunghissimo elenco di presunti infoibati” posti a ricordo nell’area museale. Se così è, la Cernigoi, oltre a non conoscere la storia, cerca ancora una volta, nel tentativo di re-inquadrare la storia, di sollevare quell’odio anti-italiano verso chi morì con l’unica colpa d’esser italiano; contravvenendo a quanto espresso a Roma il 10 febbraio 2007, dal Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano: «… un moto di odio e di furia sanguinaria e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una “pulizia etnica».

 

Se rimuovere il ricordo di un crimine, vuol dire commetterlo di nuovo, il negazionismo può essere considerato, nel senso stretto, lo stadio supremo del genocidio. Così facendo, le scandalose affermazioni della negazionista Cernigoi, destano come sempre reazioni, riuscendo a sollevare un’ondata d’indignazione nell’opinione pubblica nostrana, segno suo malgrado che “troppi” italiani ancora conoscono e continuano a ricordare i drammi di queste terre martiri. Infangare, come sempre riesce alla revisionista Cernigoi, il tema dell’esodo e delle foibe, sostenendo nuovamente le colpe, invece di condannarle, nonostante la storia le abbia ormai riconosciuto, dopo troppi anni di silenzio, una solennità civile nazionale attraverso il “Giorno del Ricordo”, celebrata il 10 febbraio di ogni anno, istituita con la legge n. 92 del 30 marzo 2004, ai fini di commemorare le vittime dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano-fiumano-dalmata.

 

Nella scia dei decenni di silenzio, non erano ancora nitidi i contorni dei crimini della guerra civile, gli approfondimenti storici che avrebbero inchiodato il maresciallo Tito al suo ruolo di spietato carnefice non erano ancora stati messi a fuoco. Oggi, ciò che meraviglia quindi sono gli odierni attacchi a un episodio storico ormai riconosciuto, ma ancora contestato nel rivisitare responsabilità dentro la “nostra” storia patria. Evidentemente le sentenze incentrate a scardinare il profondo valore commemorativo, sono figlie di una cultura anti-italiana che ruota intorno alla morale del mancato realizzo del fallito progetto d’annessione iugoslavo e della conseguente odierna frustrazione, figlia anch’essa di quell’odio-etnico verso tutto ciò che rappresentava l’Italia, senza però curarsi dei misfatti in Istria a guerra finita.

 

Una cultura che spinge il plauso ai criminali, tendendo a mutare esecrando la verità in un inganno storico, è deplorevole se non sacrilego di una coscienza che miete ancora una volta un incredibile insulto alla memoria di decine d’italiani infoibati e dei 350 mila connazionali che subirono l’esodo dall’Istria, Fiume e Dalmazia. Relativamente ai suoi pareri riguardo alla definizione di “infoibati”, voglio ricordare che ai sensi della legge istitutiva, nel Giorno del Ricordo viene concessa, in seguito a domanda, una targa metallica in acciaio brunito e smalto, con la scritta “La Repubblica Italiana ricorda” con diploma, al coniuge superstite, ai figli, ai nipoti e, in loro mancanza, ai congiunti degli infoibati dall’8 settembre 1943 al 10 febbraio 1947, in Istria, Dalmazia e nelle province dell’attuale confine orientale.

 

Bene farebbe la Cernigoi a esercitare il suo inflessibile rigore morale e la puntigliosa fedeltà nell’affrontare sentenzialmente la storia, su quella “civiltà” che si macchiò degli orrori oggi ricordati durante le celebrazioni dalle massime cariche dello Stato e commemorati puntualmente presso i monumenti nazionali, vittime questi dell’odio che la sua “anti-cultura” diffonde. Raccontare con il discernimento che la storia impone le atrocità che Trieste subì in quei terribili 40 giorni di occupazione titina, sarebbe di certo un buon inizio da parte sua.

 

Daniele Mosetti

presidente Comitato 10 Febbraio – Trieste

“Il Piccolo” 6 ottobre 2012

 

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