ANVGD_cover-post-no-img

11 feb – Il discorso di de Vergottini al Quirinale

Ecco dal sito www.coordinamentoadriatico.it il discorso integrale del prof. Giuseppe de Vergottini, tenuto al Quirinale di fronte al Presidente della Repubblica, in rappresentanza degli Esuli.

 

Signor Presidente,

mi trovo oggi a prendere la parola a nome degli Esuli istriani, fiumani e dalmati in sostituzione dell’Ambasciatore dell’ONU Staffan de Mistura ora nominato dal Segretario generale delle Nazioni Unite.suo Rappresentante Speciale in Afganistan,

Ed è motivo di orgoglio, che proprio uno di noi – di famiglia dalmata, originaria di Sebenico, la patria di Niccolò Tommaseo e di altri dalmati che hanno dato il loro contributo alla cultura italiana e alla costruzione stessa della nostra identità nazionale – sia stato chiamato ad un incarico di tale importanza e responsabilità nel Paese oggi al centro dell’attenzione internazionale; un paese nel quale anche l’Italia è impegnata con le sue forze armate a riportare la pace e la stabilità politica.

* * *

Noi oggi siamo qui a testimoniare con la nostra presenza e il nostro impegno la volontà di ricordare e far conoscere una pagina drammatica della nostra vicenda nazionale.

Vorremmo in tal modo mantenere vivo il rapporto che esiste fra la gente dell’esodo e la comunità di tutti gli italiani in un momento in cui ci avviciniamo a dare solenne celebrazione all’unità della nostra patria, unità per cui gli italiani dell’Istria del Quarnaro e della Dalmazia si sono battuti per decenni e da cui si sono trovati emarginati per le conseguenze terribili del trattato di pace del 1947. Voremmo farlo con uno spirito di costruttivo ottimismo quale deve derivarci dall’inseriemento dei paesi dell’area adriatica nella cornice che si sta ampliando della Unione europea.

Il Novecento, il secolo appena trascorso, ha portato all’umanità grandi progressi nel campo delle scienze, della tecnologia, del benessere materiale e dello sviluppo economico, delle comunicazioni tra le persone e tra i popoli.

Ma questo secolo è stato anche segnato da grandi tragedie collettive causate dalla contrapposizione tra ideologie totalitarie, che hanno esasperato i conflitti interetnici e nazionali, determinando in molte regioni d’Europa persecuzioni, violenze, esodi di popolazioni.

Per quanto riguarda le nostre terre, due sono le parole che evocano il dramma delle popolazioni: foibe ed esodo. Per inquadrare questi fatti dobbiamo fare riferimento allo stesso testo della legge voluta dal nostro Parlamento nel 2004 per istituire questa giornata in tal modo riconoscendo il contributo di fedeltà e di sofferenze che le genti istriane, fiumane e dalmate hanno dato alla storia della patria comune, quest’Italia che amiamo e della quale ci prepariamo a celebrare i 150 anni di unificazione nazionale.

In maniera sintetica siamo abituati a porre l’accento sulla barbara soppressione di esseri umani tramite la loro eliminazione nella profondità delle cavità carsiche. Il solo termine foiba e il terribile neologismo dell’infoibamento evocano in modo incisivo gli eventi che stiamo ricordando.

Ma, come la legge testualmente ricorda, noi oggi evochiamo gli infoibati ma anche “gli scomparsi e quanti nello stesso periodo e nelle stesse zone, sono stati soppressi mediante annegamento, fucilazione, massacro, attentato, in qualsiasi modo perpretati” e tutti coloro la cui morte “sia sopravvenuta in conseguenza di torture, deportazione e prigionia”.

E a questo riguardo è il caso sottolineare che vittima di quelle efferate atrocità fu essenzialmente la popolazione civile, dovendosi quindi smentire le tesi di comodo sostenute ancora oggi da certa letteratura che in realtà gli scomparsi di quel triste periodo si riducessero a fascisti criminali e a collaborazionisti dell’occupante nazista.

Non sto a ricordare in dettaglio il susseguirsi dei tragici avvenimenti che coprono un primo periodo dell’occupazione del territorio istriano dopo l’8 settembte 1943 e un secondo periodo è quello che ha fatto seguito alla conclusione del conflitto a partire dal maggio 1945. E’ la fase conclusiva, quella della resa finale dei conti in cui continuava la politica della eliminazione di chiunque fosse considerato collaborazionista o semplicemente fosse considerato ostacolo alla annessione. In questa fase avremo anche la eliminazione dei comitati di liberazione formati da italiani a dimostrazione della sistematica prevalenza del proposito annessionista.

Le uccisioni, deportazioni e incarcerazioni continuarono ben dopo la fine delle ostilità quando gli occupanti portarono a termine il loro proposito di decapitare le nostre comunità creando una situazione di precarietà e paura che portò in pochi anni a mutare l’equilibrio etnico nei territori giuliani. In pratica non ci fu città, paese, frazione che non fosse colpito. Quindi l’esito di questa azione raggiunse il risultato voluto: l’esodo di massa degli italiani dai quattro quinti della Venezia Giulia ceduti col trattato di pace.

Nel delineare la dimensione della violenza subita occorre considerare oltre alle vittime degli infoibamenti anche tutte quelle persone che hanno perso la vita nelle deportazioni, nei campi di concentramento, nelle carceri dove i nostri connazionali continuavano a soffrire e morire non solo anni dopo la fine del conflitto ma addirittura dopo il trattato di pace.

* * *

L’intervento del Parlamento, a distanza di più di mezzo secolo da quei tragici eventi, ha aiutato a colmare il vuoto che si era creato fra la memoria degli esuli e quella dell’intera Nazione. Il disinteresse passato dell’Italia ufficiale per le sofferenze della popolazione civile, per la atroce fine di tanti innocenti, per la decurtazione di un’ampia porzione del territorio nazionale per il cui riscatto l’Italia aveva pagato un altissimo contributo di vite nel primo conflitto mondiale, era apparsa del tutto inaccettabile alla comunità degli esuli.

La determinazione di dare ufficiale riconoscimento al sacrificio dei giuliani è il segno di un definitivo mutamento del clima di distacco e disinformazione che purtroppo ha caratterizzato per anni il mondo della cultura e dell’informazione e di buona parte del mondo politico nei confronti della tragedia delle foibe e dell’esodo. Essa ha costituito un doveroso risarcimento per una troppo lunga e non meritata disattenzione.

Auspichiamo anche e in particolare che oltre alla memoria che la Repubblica ha deciso di conservare sia diffusa la conoscenza.

Troppa ignoranza ancora persiste su una porzione non marginale della nostra storia nazionale. Siamo convinti che sopratutto fra le nuove gnenerazioni dovrebbe diffondersi la consapevolezza degli eventi che ci riguardano. L’avvicinarsi delle celebrazioni dei centocinquantanni dell’Unità è occasione per ricordare anche quei territori e quelle popolazioni che hanno vissuto intimamente legati alla penisola e ne hanno condiviso in più occasioni la storia.

Signor Presidente,

Le drammatiche conseguenze del conflitto e l’esodo hanno cancellatato una convivenza che si era mantenuta attraverso i secoli

Oltre 300.000 persone scelsero o furono costrette a scegliere la via dell’esodo, per salvare la vita propria e dei prori cari o semplicemente per salvare la propria libertà e dignità di uomini e di donne, la propria identità di italiani. Intere città, come Pola, Fiume, Zara, si svuotarono dei loro abitanti.

Anche negli ultimi decenni tragedie analoghe si sono riprodotte in molte parti del mondo ma l’intervento della comunità internazionale ha molte volte consentito ai rifugiati di fare ritorno nelle loro case.

Agli istriani, ai fiumani dalmati italiani questo ritorno non è stato concesso. Le loro case sono rimaste vuote.

Ma la sofferenza più grande è stata la dimenticanza di queste: una tradizione di cultura, di arte, di costumanze popolari che rischia di sparire per sempre, perché a loro custodia sono rimaste nelle terre d’origine poche decine di migliaia di italiani. Anche nei libri di scuola è arduo trovare delle pagine che ricordino il contributo di queste regioni alla storia d’Italia. Artisti, poeti, musicisti, patrioti che hanno partecipato alle battaglie del nostro Risorgimento, combattenti valorosi della prima e seconda guerra mondiale vengono tutti avvolti in un unico incomprensibile silenzio.

Oggi noi da un lato abbiamo il dovere di ricordare e di far conoscere, dall’altro prendere atto della diffusione in Europa di comuni valori che auspicabilmente dovrebbero essere condivisi dai nostri vicini.

Noi, dalmati, istriani, fiumani, che tanto abbiamo sofferto per le tragedie del Novecento, che tanto abbiamo dato alla nostra Patria italiana, vogliamo contribuire ad edificare questa nuova casa comune a tutti gli europei.

Sottolineo che gli esuli giuliano-dalmati vogliono essere in prima fila nel difendere quanto rimane di italiano in Istria, in Quarnaro, in Dalmazia. Il mantenimento di questa tradizione di cultura e di civiltà è nell’interesse stesso degli Stati che oggi esercitano la sovranità su queste terre. Il patrimonio di arte, di pensiero che gli Italiani dell’Adriatico orientale hanno lasciato fa parte della tradizione culturale tanto dell’Italia, quanto delle nuove realtà statali scaturite dalla fine della repubblica yugoslava.

Ricordarlo e difenderlo è un dovere dell’Europa. E’ un messaggio di civiltà che può valere di esempio a tutti i popoli che hanno sofferto e soffrono.

* * *

Lei, Signor Presidente, si è costantemente dimostrato attento al significato dei valori che caratterizzano l’identità nazionale e ha nei precedenti incontri ribadita la Sua consapevolezza del significato dei sacrifici sopportati con dignità e decoro dalla comunità degli esuli.

Con l’incontro di oggi e con il riconoscimento solenne attribuito ai famigliari delle vittime Lei dimostra di volere esprimere la Sua rinnovata solidarietà per le vicende che hanno così profondamente segnato la comunità degli esuli giuliano-dalmati. Di questa Sua partecipazione Le siamo profondamente grati.

Prof. Giuseppe de Vergottini

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.