È notizia di questi giorni, né la Slovenia né la Croazia – Stati successori dell’ex Jugoslavia – vogliono più che siano intitolate al maresciallo Tito vie e piazze del Paese. La Corte costituzionale di Lubiana ha bocciato il documento con cui la giunta della capitale aveva deliberato di ricordare il dittatore nella toponomastica cittadina . «La figura di Josip Broz-Tito – si legge nella sentenza della Corte – simboleggia l’ex regime totalitario e qualsiasi magnificazione del totalitario regime comunista è anticostituzionale». «Il nome Tito non simboleggia solo la liberazione della Slovenia dall’occupazione fascista durante la Seconda Guerra mondiale, ma anche il regime comunista totalitario del dopoguerra caratterizzato da ampie e profonde violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali».
A Zagabria il presidente del locale «Comitato di Helsinki», Zvonimir Cicak, ha affermato: «Non è ammissibile che ci sia nel centro della capitale una piazza che porta il nome del dittatore comunista jugoslavo, soprattutto dopo la scoperta di molte fosse comuni di cui lui fu l’unico responsabile». Si associa anche il movimento civico nato per la circostanza, che propone di chiamarla Piazza del Teatro, situato nei pressi, o ne chiede comunque un altro nome, «nuovo, civile e degno di essere onorato». «La lotta per la cancellazione dai luoghi pubblici di tutti i simboli del terrore, del crimine e del totalitarismo – hanno dichiarato i portavoce del movimento cittadino – non è una battaglia solo in favore della Croazia, ma una difesa della democrazia e della libertà». Più in generale, negli Stati dell’ex Jugoslavia, tra i quali la Serbia – nei quali è in corso un censimento – la categoria di «jugoslavo» è scomparsa dai moduli, segno della definitiva cancellazione dalla scena storica di quell’entità politica.
In Italia, viceversa, risulta che 9 località, tra le quali Parma e Reggio Emilia, abbiano conservato nello stradario il ricordo di Tito, il cui nome è indissolubilmente legato agli eccidi delle Foibe e al conseguente esodo della popolazione italiana autoctona della Venezia Giulia e della Dalmazia tra il 1943 e ben oltre il 1954. La storiografia contemporanea, italiana e non, ha ormai gettato ampia luce sul sistema concentrazionario jugoslavo, fondato sulle deportazioni, gli internamenti e le sparizioni, ben conosciuti dagli Esuli giuliani e dalmati che ne rendono da sempre testimonianza.
La legge sul Giorno del Ricordo (10 Febbraio), approvata nel 2004 dal Parlamento italiano nella sua stragrande maggioranza, prevede ogni anno la commemorazione delle vittime delle Foibe nelle più alte sedi istituzionali della Repubblica Italiana. Ancora nel 2007, così si esprimeva il Presidente Giorgio Napolitano nel corso della solenne cerimonia al Quirinale: «va ricordato l’imperdonabile orrore contro l’umanità costituito dalle foibe, ma egualmente l’odissea dell’esodo, e del dolore e della fatica che costò a fiumani, istriani e dalmati ricostruirsi una vita nell’Italia tornata libera e indipendente ma umiliata e mutilata nella sua regione orientale […] assumendoci la responsabilità dell’aver negato, o teso a ignorare, la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica, e dell’averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali».
Questi i 9 Comuni italiani nella cui toponomastica risulta ancora presente il nome del dittatore: Nuoro, Palma di Montechiaro (Ag), Parete (Ce), Parma, Quattro Castella (re), Reggio Emilia, Ussana (Ca) e Verzino (Kr). Qui lo stradario commemora, per indifferenza o residua archeologia ideologica, un regime che la comune coscienza democratica e la storia hanno consegnato al capitolo chiuso dei totalitarismi del Novecento.
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Via Tito a Parma