Verso la fine di maggio 1945, a Trieste si incomincia a sussurrare che Tito si ritirerà da Trieste, Gorizia e Pola.
Il 12 giugno a Trieste si festeggia con entusiasmo l’allontanamento delle truppe di Tito ed il subentro di quelle alleate.
Tito aveva compreso che lo avrebbero costretto ad abbandonare la città e aveva voluto lasciare, oltre ad uffici commerciali e associazioni filo jugoslave anche un giornale Il Corriere di Trieste per continuare la propaganda in suo favore e mettere le mani avanti sul futuro di Trieste.
Nell’accordo dell’11 giugno di Belgrado si impegna a ritirare tutte le sue forza al di là del Confine previsto e di restituire tutti i cittadini italiani arrestati e deportati.
Entro le ore 8 del 12 giugno 1945 tutte le truppe regolari Jugoslave si ritireranno, anche da Pola e circondario.
Il 12 giugno, alla mattina, una grandissima folla è in Piazza Unità per assistere alla cerimonia del passaggio di poteri tra le truppe jugoslave e quelle angloamericane.
Splende il sole, la piazza non riesce a contenere l’immensa folla.
È la grande giornata dei triestini , anche se annebbiata dal dolore per la sorte dei fratelli giuliani.
Anche se non lo meritano, fanno festa agli alleati che vengono a cacciare il triste periodo di incubo e dolore.
In porto ci sono le navi inglesi, arrivate di notte.
Gli scambi di parole tra alleati e jugoslavi sono brevi e secchi; si ammaina la bandiera del terrore e si alza la bandiera che significa libertà.
Le truppe jugoslave se ne vanno accompagnate da maledizioni.
Se ne vanno rubando medicinali, quadri, opere d’arte… ma, lanciato l’allarme per ciò che sta accadendo, molti automezzi vengono bloccati e costretti ad abbandonare quanto prelevato.
Sembra che tutto il mondo si commuova per questa giornata che si sta vivendo a Trieste.
Gli jugoslavi se ne vanno lasciando il ricordo mai dimenticato degli incolpevoli assassinati, gettati nelle foibe vivi o morti, dei deportati fatti morire di stenti e di torture nei campi dì concentramento.
Tutti italiani, colpevoli solo di essere nati in un paese civile e di parlare la nostra lingua italiana.
Non sapremo MAI il loro numero.
Sono martiri di un odio coperto da una bandiera politica.
Non hanno MAI avuto giustizia.
Ma di loro parleremo, nel nostro dialetto, per MAI dimenticarli
Anna Maria Crasti
Vicepresidente del Comitato provinciale di Milano dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia