Il 12 novembre 1920, quindi esattamente 90 anni fa, veniva firmato il Trattato di Rapallo, un accordo con il quale l’Italia e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni stabilirono consensualmente i confini dei due Regni e le rispettive sovranità, nel rispetto reciproco dei principi di nazionalità e di autodeterminazione dei popoli. Il Trattato siglato nella cittadina ligure ebbe, o avrebbe dovuto avere per Fiume un’importanza particolare, in quanto vennero gettate le basi affinché Fiume potesse divenire uno Stato libero, libero da qualsivoglia dominio.
«GRANDE INTERESSE PEL GIURISTA» “Fra tutte le terre redente in seguito alla vittoriosa partecipazione dell’Italia alla guerra mondiale, la condizione della città di Fiume e del suo territorio – per gli avvenimenti del tutto straordinari che vi si sono succeduti per oltre un sessenio dopo la fine della guerra stessa – presenta indubbiamente pel giurista, oltre che per lo storico, il maggiore interesse, sì da giustificare una trattazione a parte”. Con queste parole viene inaugurata la voce “FIUME (Città di)” nel “Nuovo Digesto Italiano” del 1937 – il Digesto è un’opera che raccoglie in modo sistematico, completo e organico tutte le branche del diritto –, a cura di Mariano D’Amelio, primo presidente della Corte di Cassazione. In effetti, la posizione di Fiume – definita “isolotto italiano in mezzo ad un mare slavo che aveva spinto i suoi flutti dalla contingua Croazia sin entro l’Istria nord-orientale – fu sempre molto particolare, tanto che nel Patto di Londra del 1915 le sue sorti vennero disgiunte da quelle della “altre terre italiane da redimere dal dominio absburgico”.
L’OCCUPAZIONE INTERALLEATA Questa situazione, però, provocò il tentativo jugoslavo di impadronirsi della città italiana e la conseguente reazione di questa, che condussero all’occupazione interalleata, a quella dannunziana, alla proclamazione della Reggenza italiana del Carnaro; “e da ultimo fecero considerare non assurda la formazione d’uno Stato libero di Fiume, concordata tra Italia e Jugoslavia nel Trattato di Rapallo del 12 novembre 1920”, per poi arrivare all’epilogo dell’annessione della città al Regno d’Italia, quando gli stessi contraenti di Rapallo, nel Trattato di Roma del 27 gennaio 1924, dovettero constatare la “materiale impossibilità di mantenere in vita un organismo artificioso, che di vita propria non avrebbe saputo né voluto vivere”.
I SENTIMENTI DELLA POPOLAZIONE Nel riassumere gli aspetti giuridici della situazione fiumana, nel Digesto si sottolinea che “sin dal 28 ottobre 1918 la popolazione italiana di Fiume aveva manifestato apertamente i propri sentimenti di fronte agli organi dello Stato ungherese, dei quali s’intuiva l’imminente ritiro, e aveva formato un proprio Consiglio Nazionale. Il giorno successivo, però, la città veniva occupata da forze irregolari croate ed il Governatore ungherese cedeva i poteri ai rappresentanti del Consiglio Nazionale di Zagabria”.
I «TALIJANAŠI» Naturalmente, la parte croata vedeva le cose in una maniera diversa, accusando in questo caso gli ungheresi i quali, “non potendo magiarizzare con la forza la città di Fiume, decisero di sostenere i ‘talijanaši’ per andare contro il popolo croato del litorale e dell’Istria”, come si legge nel libro di Angjelo Gjurski “Storia politica croata da Khuen a Rapallo” del 1938. “Più tardi, quando il ‘talijanaštvo’ ottenne l’appoggio dell’Italia, questi presero coraggio – scrive Gjurski – al punto di gettare la maschera del ‘talijanaštvo’ e di esibire i propri sentimenti nazionali italiani. Non vollero più essere ‘Ungheresi di madre lingua italiana’, bensì ‘cittadini italiani di Fiume’, nascondendosi dietro un artificioso localpatriottismo autonomista, che chiamavano ‘fiumanismo’. Più tardi gli ungheresi si resero conto che questo nuovo concorrente – ai quali nella loro goffaggine politica aprirono da soli le porte di Fiume – fu per loro fatale”.
LE ELEZIONI DEL 1921 L’autore cerca poi di trasmettere ai lettori l’atmosfera che regnava a Fiume dopo la cacciata di D’Annunzio, riferendo delle elezioni del 24 aprile 1921. “Con queste elezioni – si legge – gli italiani pensavano di ‘dimostrare’ l’italianità di Fiume e la propensione dei cittadini all’annessione della città all’Italia. Invece, dei 13.000 votanti soltanto 2.800 votarono per l’annessione, mentre per il partito autonomista e per lo Stato libero di Fiume votarono 8.000 cittadini, e 2.000 furono i voti contro l’annessione e contro l’autonomia, in altre parole, a favore del nostro stato. Queste cifre sono piuttosto eloquenti”, sostiene Gjurski.
MANCA L’ANIMUS Tornando tre anni indietro, al 1918, possiamo dire senza timore di smentita che la situazione si era fatta incandescente per la città di Fiume, tanto che il 17 novembre l’esercito italiano la occupò in nome dell’Intesa. Seguirono contingenti francesi, inglesi e americani e in regime di occupazione interalleata il Consiglio Nazionale fiumano deliberava il 7 dicembre di assumere anche ufficialmente la veste di organo supremo della città e del suo territorio, dandone comunicazione, il 16 dicembre, ai Governi dell’Intesa. Il periodo che seguì fu a dir poco confuso, con discussioni sulle possibilità di dare a Fiume, “corpus separatum” nell’ambito della Sacra Corona di Santo Stefano, un’autonomia che portasse alla creazione di un’entità statale, che non nacque, però, nemmeno in seguito all’occupazione dannunziana avvenuta il 12 settembre del 1919, perché mancava, come spiega il Digesto, “l’animus di costituire effettivamente uno Stato, anziché una organizzazione sociale transitoria”.
LA REGGENZA ITALIANA DEL CARNARO L’8 settembre 1920 si ebbe comunque la proclamazione della Reggenza italiana del Carnaro, ma neppure questa, avendo nella propria definizione il carattere di provvisorietà, non poté sfociare nella creazione di uno Stato, oltre che per la volontà precedentemente espressa di procedere quanto prima alla propria incorporazione nel Regno d’Italia. La Reggenza era uno Stato privo di riconoscimento internazionale, oltre a essere in rapporto di belligeranza con lo stesso Regno d’Italia dopo il rifiuto di Gabriele D’Annunzio di accettare il Trattato di Rapallo, siglato il 12 novembre di quell’anno. La firma avvenne poco prima di mezzanotte, alle 23 e 45. La ratifica jugoslava porta la data del 22 novembre, quella italiana del 2 febbraio 1921. Rapallo rappresentò certamente una svolta, legittimando peraltro l’intervento dell’Esercito regolare per costringere D’Annunzio, con le belle o con le brutte, a sgombrare il campo, per non peggiorare ulteriormente la posizione italiana.
LE DELEGAZIONI A Rapallo le due delegazioni giunsero il 7 novembre e, mentre quella italiana viene ospitata al New Casino Hotel (oggi Excelsior Palace Hotel), gli jugoslavi presero alloggio all’Hotel Imperiale. Per l’Italia erano presenti il ministro degli Esteri Carlo Sforza e quello della Guerra, Ivanoe Bonomi, il senatore Francesco Salata, il capo di Stato maggiore della Marina, ammiraglio Alfredo Acton e il generale Pietro Badoglio. Mancava il presidente del Consiglio, Giovanni Giolitti, trattenuto a Roma da impegni di governo, ma fu solo un contrattempo. Egli sarà, infatti, a Rapallo pochi giorni dopo per la firma del trattato. La delegazione jugoslava era invece guidata dal Presidente del Consiglio Milenko Vesnić, accompagnato dal ministro degli Esteri Ante Trumbić e da quello alle Finanze, Kosta Stojanović.
VILLA SPINOLA A Villa Spinola (poi Pesenti) i lavori per definire le questioni Fiume e Dalmazia iniziarono l’8 novembre e proseguirono senza sosta intervallati da una breve visita di saluto alla delegazione italiana del sindaco di Rapallo, Lorenzo Ricci, accompagnato dai colleghi di giunta e dal consigliere provinciale Bontà.
La villa, in cotto, di stile inglese, era stata costruita all’inizio del Novecento dal marchese Ugo Spinola e ospitò più volte membri di Casa Savoia. Devastata dalle occupazioni militari successive all’8 settembre 1943, sarà ceduta, dopo l’ultima guerra, al duca Nicolino De Ferrari che la rimise in pristino, sostituendo al sommo del grande cancello il proprio stemma a quello degli Spinola. La villa è in territorio rapallese.
IL RIFIUTO DI D’ANNUNZIO Gabriele d’Annunzio, che l’8 settembre aveva pubblicato la Carta del Carnaro e si era proclamato governatore, rifiutò categoricamente di lasciare Fiume, nonostante la situazione economica della città, dopo oltre un anno di isolamento, non fosse nelle condizioni migliori, tanto che tra la cittadinanza e i volontari erano cominciati a serpeggiare malcontento e antipatia nei confronti dell’eccentrico Vate. Persino Mussolini, che aveva appoggiato anche finanziariamente l’iniziativa dell’intellettuale, approvò il trattato di Rapallo, definendolo “unica soluzione possibile” per uscire dal periodo di stasi che caratterizzava ormai la politica estera italiana.
IL NATALE DI SANGUE Il governo italiano optò per un ultimatum e impose a un d’Annunzio sempre più isolato di abbandonare la città con le truppe entro il 24 dicembre, annunciandogli che nel caso avesse resistito si sarebbe mosso l’esercito italiano. D’Annunzio sottovalutò gli avvertimenti del governo. Convinto che mai Roma avrebbe attaccato Fiume, mantenne la sua posizione e così fecero i suoi uomini. Fino alla vigilia di Natale. Alle sei di sera, quando il primo colpo di cannone sparato dalla corazzata Andrea Doria sventrò la residenza fiumana del poeta, il Palazzo del Governo, fu chiaro che le convinzioni del Vate non poggiavano su fondamenta solide. D’Annunzio rimase illeso ma optò, il 31 dicembre, per la resa, dopo che negli scontri con l’esercito italiano della settimana precedente cinquanta suoi uomini avevano perso la vita in quello che lui chiamò Natale di sangue. D’Annunzio lasciò rammaricato Fiume il 18 gennaio, scegliendo di ritirarsi nella sua villa di Gardone Riviera, il Vittoriale. L’avventura dannunziana, dopo un anno e quattro mesi, si era conclusa tragicamente, lasciando comunque un’ipoteca di carattere ideale che verrà raccolta successivamente da Mussolini. A quel punto, la vita dello stato di Fiume poté avere inizio.
IL GOVERNO ZANELLA Dopo la conclusione del Trattato di pace di Trianon del 4 giugno 1920, che stabiliva la rinuncia dell’Ungheria a Fiume e ai territori adiacenti, e del Trattato di Rapallo fra l’Italia e il Regno serbo-croato-sloveno che prevedeva la costituzione di Fiume in Stato libero e indipendente, il Governo italiano attuava un primo intervento militare, che provocava la caduta della “Reggenza del Carnaro” e l’evacuazione dei legionari. Nell’ottobre 1921 si insediava l’Assemblea costituente fiumana, che procedeva alla nomina del Governo guidato dall’indipendentista Zanella. Il Governo Zanella veniva però rovesciato, nel marzo 1922, da un colpo di mano organizzato da elementi filoitaliani. Subito dopo, il Governo italiano inviava a Fiume Castelli, nella veste di Alto Commissario, a capo di un contingente militare incaricato di ristabilire l’ordine.
LIMITI DA PRECISARE Uno Stato fiumano, in qualità di persona di diritto internazionale, sorge proprio con l’entrata in vigore del Trattato di Rapallo, il 2 febbraio 1921. Negli articoli IV e V dell’accordo, infatti, i contraenti avevano deciso di riconoscere uno Stato libero di Fiume entro limiti ben determinati e che da essi dovevano essere ulteriormente precisati. “Lo Stato italiano – si legge ancora nel Digesto – durante il conflitto armato con la Reggenza, tra il 24 e il 28 dicembre 1920, dimostrò di considerarsi di fronte ad un gruppo ribelle di propri sudditi, i legionari, le cui sorti intendeva dissociare da quelle dello Stato previsto dal Trattato”.
TRATTATO… INAPPLICABILE Secondo i giuristi dell’epoca, seri dubbi potevano sorgere a proposito della personalità internazionale dell’organizzazione statuale che si sviluppò successivamente al Patto di Abbazia, del 31 dicembre, che poneva fine al conflitto. Bisogna tener conto, come già rilevato in precedenza, che i firmatari del Trattato di Roma del 27 gennaio 1924, che ripartiva il territorio di Fiume tra l’Italia e la Jugoslavia, giustificavano tale decisione con “l’impossibilità assoluta di procedere in modo pratico all’organizzazione dello Stato libero di Fiume previsto dall’articolo IV del Trattato di Rapallo e secondo le disposizioni generali fissate nell’accordo firmato a Roma il 23 ottobre 1922”.
DUE STATI TUTORI È innegabile, però, che all’entrata in vigore del Trattato di Rapallo, a Fiume si trovava già costituito, seppur imperfettamente, “un ordinamento statuale esercitante anche in fatto di potestà d’impero entro l’ambito del territorio riconosciuto allo Stato di Fiume dal trattato stesso e dotato di propri organi tratti esclusivamente dall’elemento popolo da cui doveva esser formato Tale originarietà anche materiale dell’organizzazione statuale fiumana s’era vieppiù accentuata nel periodo dal 5 ottobre 1921 al 3 marzo 1922, cioè durante il regime sorto dalle elezioni per l’Assemblea costituente di Fiume, se non altro per aver esso affermato più vigorosamente la propria indipendenza di fronte ai due Stati tutori, specie di fronte all’Italia”.
L’OSTACOLO UNGHERIA Insomma, i contraenti di Rapallo si sono trovati di fronte un’organizzazione statuale vera e propria, anche se non era proprio quella voluta dal Trattato, per cui “non divenne destinataria del riconoscimento ivi previsto”, anche se fu riconosciuta “da vari altri Stati”. Un ostacolo al riconoscimento di Fiume era rappresentato anche dal ritardo dell’entrata in vigore del trattato di pace con l’Ungheria, partendo dal concetto della persistenza della sovranità ungherese anche dopo l’estinzione dell’Impero austro-ungarico. È innegabile, comunque, una certa continuità dello Stato fiumano quale esisteva al momento dell’entrata in vigore del Trattato di Rapallo con la Reggenza italiana del Carnaro, i poteri del cui capo supremo erano stati trasmessi alla rappresentanza municipale, da cui sorse il successivo governo provvisorio, ancor prima della stipulazione del Patto d’Abbazia.
SOVRANI MASCALZONI E SOLDATI FOLLI… Sono in tanti ad aver cercato di interpretare questo periodo travagliato della storia di Fiume, il prima e il dopo Rapallo. Ognuno ha dato, ovviamente, una propria interpretazione dei fatti e una valutazione personale di quello che sarebbe stato giusto fare e di chi avrebbe dovuto avere il privilegio di “fare la storia”. “La storia è fatta dai vincitori”, affermava lo storico italiano Niccolò Rodolico, ma per Tiziano Terzani “la storia non esiste”. Egli afferma che “il passato è solo uno strumento del presente e come tale è raccontato e semplificato per servire gli interessi di oggi”. Interessante pure il punto di vista dello scrittore e giornalista statunitense Ambrose Bierce, secondo il quale la storia altro non è che “un resoconto per lo più falso di eventi per lo più irrilevanti provocati da sovrani per lo più mascalzoni e da soldati per lo più folli”. Tutto questo per dire che il nostro non è un tentativo di reinterpretare la storia, ma soltanto il desiderio di ricordare un evento storico… provocato da sovrani per lo più mascalzoni e da soldati per lo più folli, che ebbero come palcoscenico Fiume, città contesa da tutti.
ADUNATE E SLOGAN La complessità dell’esperienza fiumana altro non era che lo specchio della contestuale complessità del primo dopoguerra, un’epoca in cui nasceva un movimento atipico come il fascismo: un movimento nazionalista di sinistra non marxista legato a doppio filo con il sindacalismo rivoluzionario. A parere di alcuni storici, l’Impresa di Fiume venne utilizzata a fini propagandistici dal fascismo, impedendo così di porre nel giusto contesto storico la vicenda e di consentirne una sua compiuta analisi. Tuttavia il favore del fascismo nei confronti dell’esperienza fiumana si nota in molti ambiti, a partire dall’assorbimento, da parte di Mussolini, delle tecniche di comunicazione di massa usate da D’Annunzio durante l’Impresa di Fiume, come pure il metodo per rafforzare il carisma personale che il Duce copiò dal Vate, a partire dalle adunate oceaniche e dai tantissimi slogan. Insomma, Fiume fu tutto questo…
Gli articoli dell’accordo
Con l’Articolo I, si ridisegnarono i confini nella parte orientale; Trieste, Gorizia e Gradisca, l’Istria e alcuni distretti della Carniola (Postumia, Villa del Nevoso, Idria, Vipacco, Sturie) furono annesse all’Italia.
Con l’Articolo II, Zara fu assegnata all’Italia.
L’Articolo III stabilì come sarebbero state spartite le isole del Quarnaro: Cherso, Lussino, Pelagosa e Lagosta furono assegnate all’Italia, mentre le altre isole, precedentemente proprietà dell’Impero austro-ungarico, andarono al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni.
Con l’Articolo IV, nacque ufficialmente lo stato libero di Fiume. Lo stato doveva avere per territorio un cosiddetto “Corpus separatum”, “delimitato dai confini della città e del distretto di Fiume”, e un ulteriore striscia di territorio che ne garantiva la continuità territoriale con il Regno d’Italia.
L’Articolo V stabilì il metodo con cui sarebbero stati tracciati i confini; in caso di divergenze sarebbe stato chiesto l’ausilio del Presidente della Confederazione Elvetica.
Con gli Articoli VI e VIII furono organizzati degli incontri durante i quali si sarebbe discusso sui temi dell’economia e della cultura, al fine di mantenere saldi i rapporti tra i due Regni. Gli accordi economici furono successivamente approvati e firmati a Roma il 23 ottobre 1922.
Nell’Articolo VII fu elencata una serie di risoluzioni a problematiche relative alla cittadinanza che sarebbero sorte in seguito al passaggio dei territori all’Italia.
L’Articolo IX esplicò la modalità con cui era stato redatto il trattato, che si chiudeva con le firme dei sei Plenipotenziari.
Ivo Vidotto su la Voce del Popolo del 12 novembre 2010