Il 4 novembre scorso "Il Piccolo" di Trieste ha pubblicato la seguente lettera:
Ho letto sul Piccolo del 18 ottobre l’articolo intitolato «Ui: no al taglio dei fondi dall’Italia», nel quale, tra l’altro, il presidente Tremul afferma che «i rimasti sono gli unici ad aver difeso l’italianità di queste terre». Anche gli esuli hanno sempre lottato per le loro terre ed hanno cercato di ritornare nelle terre d’origine dopo la caduta del comunismo, presentando alle autorità croate 1034 domande di restituzione dei loro beni ai termini della legge croata del 5 luglio 2002. Purtroppo tutte queste domande sono state rigettate poiché la legislazione croata impone ancora la discriminazione contro i cittadini italiani: la legge del 5.7.2002 prevede sì la restituzione dei beni anche agli italiani, ma solo dopo un accordo tra i due Stati.
A tal fine già nel 2002 è stata istituita una commissione mista italo-croata per dirimere la questione. Gli esuli chiedono lo stesso trattamento riservato dalla legge croata ai suoi cittadini e cioè: restituzione del bene espropriato se possibile, altrimenti sostituzione con un bene di pari valore, oppure, se nemmeno quest’ultima soluzione è praticabile, pagamento di un equo risarcimento.
Sappiamo che la legge croata stabilisce che il precedente proprietario non ha diritto alla restituzione della proprietà tolta qualora la questione costituisca oggetto di accordi internazionali (vedi Accordo italo-jugoslavo di indennizzo agli esuli del 23 maggio 1949) e inoltre nel caso siano intervenuti altri interessi di privati, cioè quando il bene è già stato venduto dalle autorità locali a privati cittadini croati. Considerando il numero delle domande di restituzione presentate dagli esuli e le succitate esclusioni previste dalla legge croata, si può dedurre che il numero dei beni effettivamente restituibili sia in realtà molto esiguo e quindi non in grado di provocare alcun significativo mutamento etnico.
Gli esuli auspicano pertanto che il nostro ministero degli Affari esteri adempia al suo compito istituzionale di tutelare i diritti e i legittimi interessi di tutti i cittadini italiani e concluda l’accordo con la Croazia per togliere la discriminazione contro gli esuli sulla base della loro nazionalità italiana, tuttora in atto in Croazia in aperta violazione della Convenzione europea sui diritti umani, a cui la stessa Croazia ha aderito il 5 novembre 1997.
Silvio Stefani
Lo stesso 4 novembre il Segretario nazionale ANVGD ha inviato una replica a "Il Piccolo", che però non è mai stata pubblicata. Eccone comunque il contenuto.
Ho letto con interesse la lettera di Silvio Stefani sul “Piccolo” del 4 novembre, riferita ai beni degli Esuli italiani che la Croazia si ostina a non restituire. In questi ultimi tempi, per motivi d’ufficio, ho letto molte delle lettere dei tribunali croati che respingono le richieste di restituzione. Le motivazioni sono sempre le stesse: i beni degli Esuli sono stati ceduti alla Jugoslavia dall’Italia in pagamento dei danni di guerra (e quindi erano/sono nelle disponibilità delle autorità locali) e i richiedenti non sono nella famosa lista dei “500” a cui fu concesso, dietro domanda, la conservazione delle proprietà. Legalmente il concetto sembra ineccepibile.
E’ per questo che gli Esuli, a mio modo di vedere, debbono prendersela con l’Italia che non li ha ancora economicamente risarciti, piuttosto che sperare in restituzioni il cui esito è tutt’altro che scontato. Un Paese che dopo 60 anni dall’esproprio forzato ancora non paga il dovuto, è il segno di un’Italia che non sa mettere a fuoco i diritti della legalità, indipendentemente se il politico di turno sia di destra o di sinistra.
Fabio Rocchi, Segretario nazionale ANVGD, Roma