di GABRIELLA ZIANI su Il Piccolo del 13 settembre 2009
Il sindaco doveva alzare la vela. Dare vento in poppa a una barca specialissima per inaugurare ieri alle 16 in piazza dell’Unità il 56.o raduno mondiale dei dalmati. La barca era una «brazzera», preziosa ricostruzione dell’antico «bus del mare».
Invece non è successo niente tranne che una catena di incredibili equivoci. Ieri alla 16 la barca non c’era, l’inaugurazione è saltata, chi doveva partecipare dando un colpo di pialla allo scafo ancora da restaurare si trovava in realtà all’estero, e per colmo il proprietario della famosa brazzera era a casa sua a Sistiana, avvilito e arrabbiato, perché nessuno s’era degnato d’invitarlo alla festa.
La singolarità dell’incidente ha anche altri, diversi risvolti. Questa barca era stata in precedenza dal sindaco Dipiazza già scelta per essere restaurata e sistemata nel Salone degli incanti, all’ex Pescheria, come simbolico capitolo di storia marinara. Poi, dato lo scafo di purissima tradizione dalmata, era nata l’idea di usarlo anche come vessillo per i dalmati stessi.
«La brazzera è stata bloccata a Monfalcone perché non ha i permessi per arrivare a Trieste, è montata su un camion di trasporti speciali – raccontava ieri Renzo de’ Vidovich a chi arrivava per assistere all’evento -, inizialmente avevamo previsto l’inaugurazione per le 18.30, poi l’abbiamo dovuta spostare alle 16, ma i documenti di trasporto non sono stati aggiornati, per oggi non si fa più niente, tutto rimandato».
Mentre il programma annunciava che il giornalista Paolo Rumiz, appassionato della storica imbarcazione, le avrebbe fatto da paladino in piazza accanto al sindaco, Rumiz ieri rispondeva dall’estero: «Mi hanno avvertito due giorni fa, era impossibile esser presente». Intanto a Sistiana c’era un signore angariato, il proprietario del prezioso cimelio nautico, Ovidio Schiattino: «Dicono che portano a Trieste la mia barca, ma è impossibile, è in cantiere, è malridotta, e nessuno mi ha detto niente». De’ Vidovich: «Non si riesce a telefonare a tutti quanti».
Non si era riusciti neanche a restaurare lo scafo per tempo. Tanto che invece di arrivare per mare sarebbe stato trasportato pesantemente via terra fin davanti il Municipio. Schiattino geme di dolore perché la sua creatura è stata due volte strapazzata. «L’ho fatta fare quella barca nel 1965 – racconta -, io sono di Zara e mio padre era ufficiale di Marina. Prima di morire m’aveva detto: ”Non entrare nella Marina, sai, piuttosto costruisciti una barca”. E io con mio cugino sono andato in cerca di un maestro d’ascia, e l’ho trovato vicino a Spalato, poi sono andato in Slovenia e ho trovato il legno, quercia, magnifico rovere, e l’ho fatta fare proprio con tutti gli attrezzi di un tempo, una costruzione filologica… Nel 1966 era pronta, proprio a 100 anni dalla battaglia di Lissa. Nove metri per tre – dice con amore Schiattino -, come la barca di Ulisse, l’unica in tutto il Mediterraneo, io e mia moglie abbiamo girato per tutte le coste, sempre a vela, anche con l’alluvione una volta, il mare ci ha sbattuto fin nella piazza Tartini di Pirano».
Schiattino è del 1922, Ottavio Missoni era in classe con suo fratello. «Ma tutto questo – dice – sarà in un libro che sto scrivendo». Qui però finisce il bello e comincia il brutto. Qualche anno fa da Schiattino sono arrivati due signori di un’associazione che voleva salvare le barche storiche, e promettendogli restauro e conservazione hanno portato via la brazzera. «Mi hanno imbrogliato, l’hanno messa in un capannone e poi anche fuori da lì, lasciandola all’aria e al vento». Intanto Schiattino aveva promesso a Dipiazza, ch’era andato a vederla avendone avuta notizia, di regalare la barca al Comune: «Un amore – dice – non si vende, si dona». Il sindaco aveva accettato.
«Dicevano di voler portare a Trieste la brazzera restaurata, e invece è in cantiere tutta rotta – piangeva ieri Schiattino -, non può essere la mia quella di cui parlano, sono avvilito, sono figlio di un ufficiale di Marina, per me la parola conta». Invece la barca era quella, ma a Trieste non è mai arrivata.