La Serbia pagherà un risarcimento a quindici persone che furono imprigionate dopo la Seconda guerra mondiale per motivi politici nel campo di concentramento titino di Goli Otok. Complessivamente Belgrado sborserà 110mila euro. Il risarcimento più basso (266mila dinari pari a 1951 euro) andrà a una donna che nel 1950 è rimasta prigioniera per un anno sull’Isola Calva. Quello più elevato invece (2 milioni di dinari pari a 17.200 euro) a un prigioniero politico rinchiuso dal 1949 al 1956 per un equivalente di 2.920 giorni. Insomma un risarcimento di 5,89 euro per ogni giorno trascorso nel lager.
Il diritto al risarcimento è garantito per quanti sono già stati riabilitati perché è stato riconosciuto che sono stati condannati indebitamente dopo aver subito un processo politico ingiusto. In Serbia, dopo l’approvazione della legge sulla riabilitazione, a “godere” di questo status in cinque anni sono 1870 persone. La speciale commissione che opera nell’ambito del ministero della Giustizia e che ha iniziato a operare nel febbraio scorso ha fin qui ricevuto 190 domande per la riabilitazione. Goli Otok iniziò la sua “funzione” di carcere sotto l’Impero austro-ungarico che decise di rinchiudere lì i prigionieri russi catturati sul fronte orientale. Ma diventò un vero e proprio lager solo nel 1946 quando Edvard Kardelj lo scelse come luogo deputato alla deportazione dei prigionieri politici, soprattutto cominformisti che non avevano accettato lo strappo di Tito con l’Unione sovietica.
Così sotto l’ordine del Maresciallo dal 1948 al 1963 furono imprigionate 55.633 persone (sono i dati della Polizia politica di Tito) di cui 14mila furono spediti a Goli Otok. Tra questi ci furono 7236 serbi, 3341 montenegrini, 2586 croati, 882 macedoni e 555 sloveni. Tra i condannati dai tribunali (5024 da corti militari, 11.650 da corti civili) ci furono 21.818 ex combattenti della guerra di liberazione della Jugoslavia, 9234 tra professori, maestri, medici e intellettuali, 5081 operai e contadini, 4008 studenti. I prigionieri erano sottoposti a torture fisiche e psicologiche dai propri carcerieri ed erano obbligati a lavorare in una cava.
D’estate erano sottoposti ai cocenti raggi di sole e d’inverno alle gelide sferzate della bora. Quando la Jugoslavia migliorò i suoi rapporti con l’Urss, Goli Otok passò nelle mani della Croazia che lo chiuse nel 1988 ma solo l’anno successivo l’ultimo prigioniero lasciò l’isola della morte.
Mauro Manzin
“Il Piccolo” 12 giugno 2012
Un’immagine del lager di Goli Otok oggi (foto www.balkanforces.forumotion.net)