di MADDALENA REBECCA su Il Piccolo del 14 febbraio 2011
Tutto si potrà dire di lei, tranne che sia una ragazza remissiva e senza carattere. Perché di carattere, grinta e, in questo momento, rabbia, Giulia Cobez ne ha da vendere. Lo capisci appena provi a chiederle qualcosa sulle foto scattate per l’edizione slovena di Playboy, la rivista in cui mette in mostra le sue grazie accanto alla tristemente nota scritta ”Trst je naš!”. Giulia non risponde, ringhia. E lo fa soprattutto per scrollarsi di dosso l’immagine di ragazzetta ingenua e un po’ svampita che, a suo dire, le è stata appiccicata addosso da quando il caso è scoppiato.
«La cosa che più mi ha fatto arrabbiare di tutta questa storia – chiarisce inviperita al telefono – è il fatto di esser stata descritta come una sprovveduta. Una che si lascia usare dagli altri. Io non sono stata obbligata a fare qualcosa che non mi andava. Quelle foto le ho scattate unicamente per lavoro. Sono una modella e vengo pagata per questo. Vado, poso davanti al fotografo e me ne vado. Dei contenuti del servizio per Playboy non sapevo assolutamente nulla, ma non perché sia una persona poco accorta, bensì perché la stesura dei commenti non rientra nel contratto. La modella fa le foto, l’articolista si occupa di tutto il resto. Il mio incarico – continua la bionda ventiseienne – è finito nel momento stesso in cui sono uscita dallo studio fotografico. Quello che è accaduto dopo non l’ho saputo perchè non mi riguardava. E non perché sono un’ingenua senza testa».
Proprio perché non conosceva il taglio dell’articolo, continua Giulia, vedere a cose fatte il suo nome, e il suo corpo, in un contesto che ironizza sul ricordo dell’occupazione titina, è stata una sorpresa. Una sgraditissima sorpresa. «Non pensavo che uscisse un pezzo di questo genere. Non me lo sarei mai immaginato visto che Playboy, di solito, non si occupa di politica. Ovviamente io – prosegue la ragazza – mi dissocio da quell’articolo. Per la verità, non so neanche bene cosa c’è scritto perché lo sloveno non lo parlo e nemmeno lo capisco. Ma voglio che sia ben chiaro il concetto: il testo, con me, non ha nulla a che fare. Non so quale fosse lo spirito del servizio, perché con la rivista avevamo concordato unicamente le foto. Credo comunque che fossero in buona fede. Insomma non penso che volessero far scoppiare chissà quale guerra».
Difficile però negare la volontà di confezionare un’operazione quantomeno provocatoria. Chi ha scelto di mettere in copertina una ”coniglietta” triestina e di accompagnare le sue pose ammiccanti con riferimenti precisi («come a suo tempo i partigiani hanno liberato Trieste, così noi di Playboy l’abbiamo liberata dai suoi vestiti. Viva la libertà!»), sapeva che avrebbe chiaramente fatto discutere. Specie a ridosso del Giorno del ricordo. «Questo non c’entra – puntualizza Giulia -. Playboy esce sempre il secondo venerdì del mese. Comunque è anche possibile che, su questa storia, la rivista ci abbia un po’ marciato. Ma io non ci ho guadagnato assolutamente nulla. Anzi sono stata tirata in mezzo ad una storia assurda. Una storia che ha visto le mie foto accostate addirittura alle foibe. Una cosa completamente inopportuna e senza senso. Playboy nasce per dare gioia e felicità, non certo per lanciare messaggi di tipo politico. Non è accettabile che qualcuno, a Trieste, abbia messo in relazione il mio servizio con le vicende storiche del passato».
In fin dei conti, però, grazie al polverone suscitato dagli scatti sull’ormai famoso divano di pelle rosso, Giulia un bel po’ di notorietà se l’è conquistata. E per chi, come lei, di professione fa la modella, la ragazza immagine e la cubista, tanto male non dev’essere. Lo diceva Oscar Wilde, del resto, ”non m’importa come si parla di me, basta che se ne parli”. Una perla di saggezza che, per la Cobez, sembra però non avere alcun valore. «Questo tipo di pubblicità cittadina non mi interessa per niente – ribatte la playmate quasi seccata -. Che parli di me l’anziana o l’uomo della strada, per me, non ha nessun valore. L’unica attenzione che mi sta a cuore ottenere è quella degli addetti ai lavori. I commenti di tutti gli altri mi scivolano addosso. Compresi quelli di chi si è scandalizzato per le immagini del servizio. Le mie foto non avevano niente di particolare, erano foto semplicissime pubblicate tra l’altro su un giornale che qualcuno ha voluto far passare come una pubblicazione volgare, ma che invece è ormai una rivista di tenore completamente diverso. Un po’ come GQ».