di STEFANO GIANTIN su Il Piccolo del 15 dicembre 2010
L'ora X è scattata a mezzanotte. Bosniaci e albanesi da oggi non hanno più bisogno di un visto Ue per viaggiare nella Zona Schengen dell'Unione europea e in Svizzera. Non più code davanti alle ambasciate europee, né umilianti trafile burocratiche nei consolati. Ai cittadini di Sarajevo e Tirana basta ora il solo passaporto biometrico per passare il confine. Potranno fermarsi per turismo nell'Ue fino a 90 giorni in sei mesi. «Per tante persone un sogno è diventato realtà» ha affermato la deputata Ue Tanja Fajon, che ha seguito la macchinosa procedura che ha portato all'abolizione dei visti.
Una gioia condivisa dai politici bosniaci che hanno organizzato ieri un concerto a Sarajevo per celebrare l'avvenimento. Star locali hanno cantato gratis «per celebrare una sorta di compleanno della nazione», ha spiegato il cantante Semir Ceric Koke. A Sarajevo l'entusiasmo è palpabile. Per molti, soprattutto per i più giovani, le frontiere per la prima volta sono aperte. «Siamo stati isolati per anni, ostaggio della retorica nazionalistica. I giovani non potevano vedere con i loro occhi come i loro coetanei vivono nel resto del mondo. Senza la liberalizzazione, la Bosnia-Erzegovina sarebbe diventata un terreno ancora più fertile per il radicalismo"» racconta Alma Masic, capo di un'influente Ong a Sarajevo. Da oggi le cose cambieranno. Una compagnia di pullman sta vendendo a metà prezzo i biglietti per destinazioni Ue per incoraggiare la gente a uscire dal Paese. Un gruppo di 60 bosniaci partirà stasera per un viaggio-premio in Francia, Belgio e Italia. «Ora ci sentiamo esseri umani con una reale libertà di movimento – sottolinea Masic – anche se per tanti è solo una vittoria psicologica. Mancano i soldi per viaggiare».
I problemi economici sono tangibili. In Bosnia-Erzegovina il salario medio non supera i 400 euro, un cittadino su due è disoccupato. In Albania la disoccupazione è al 30% e il 22% degli albanesi, secondo un sondaggio, sfrutterà la nuova politica sui visti per cercare fortuna in un altro Paese. Una strategia già usata nei mesi scorsi dagli albanesi del Sud della Serbia e dai macedoni: richiesta di asilo politico per rimanere a lavorare nell'Ue. Per Alexandra Stiglmayer, analista del ”think tank” European Stability Initiative, il rischio che la storia si ripeta è minimo: «Bosnia-Erzegovina e Albania hanno ben informato i cittadini su come funziona la liberalizzazione. Il nuovo regime porterà all'Ue più benefici che svantaggi». Ugualmente, per evitare flussi migratori, Lubiana ha innalzato a 70 euro per ogni giorno da trascorrere nel Paese il minimo di contanti che ogni bosniaco dovrà esibire alla Dogana. La destra svizzera paventa «ondate d'immigrazione illegale dai Balcani». Niente di nuovo. Il commissario Ue
Cecilia Malmstrom a novembre minacciava: «Non abusate della libertà di movimento, la decisione potrebbe essere rivista». Già ministri di Belgio e Olanda si erano precipitati questa estate nel Sud Serbia albanese per arginare un’ondata «ingestibile» di stranieri. In pratica, «benvenuti ma ricordatevi di tornare a casa» è l'inelegante messaggio di Bruxelles a chi fa festa a Sarajevo e Tirana, immaginando solo un futuro più promettente.