È stato presentato ieri mattina nell’Aula Consiliare “Massimo di Somma”, presso il XIII Municipio il libro “I Racconti del Commissario” di Franco Enrico Gaspardis. “Un libro che racconta le emozioni – ha dichiarato Adriana Vartolo, Presidente Consiglio XIII Municipio – quelle belle che ci legano a Franco che oggi è qui con noi nella mente e nel pensiero. Un libro che ci racconta anche Franco e le sue esperienze. Di uomo, prima che di scrittore”.
“Ho conosciuto Franco – ha fatto sapere Salvatore Colloca, Delegato Cultura XIII Municipio – e so che persona era. Un uomo che ha vissuto il dolore sin da piccolo con la delicata situazione che ha visto coinvolta la comunità istriano-dalmata. Oggi che non c’è più, lo rileggiamo nei suoi scritti ed il suo ricordo è vivo più che mai in tutti noi”.
A prendere parte alla presentazione la vedova Gaspardis, che ha ricordato il marito e i suoi scritti, e rappresentanti e studiosi della comunità istriano-dalmata.
(fonte www.ilfaroonline.it 13 novembre 2011)
Nella foto il direttore dell’Archivio Museo Storico di Fiume, Marino Micich (a sin.) e a destra Gianclaudio de Angelini insieme con la signora Gaspardis
OSTIA – Municipio di Roma Capitale XIII
12 novembre 2011
Presentazione del libro, postumo, di Franco E. Gaspardis “I racconti del Commissario”.
Il ricordo del fiumano Franco Enrico Gaspardis
Oggi ricordiamo l’amico, il dirigente del Ministero per i beni culturali, il consorte, il padre, il nonno Franco Enrico Gaspardis, ma a me spetta il compito di ricordare il fiumano Franco Gaspardis, mulo de Fiume, nato nel rione storico di Zitavecia (la Città vecchia), dove si erge ancora oggi l’Arco Romano. Fiume, l’antica Tarsatica! Una città che per secoli ha visto pulsare un’italianità particolare. Una città di mare popolata da gente di varie etnie, che hanno dato vita nel corso del tempo ad una comunità di frontiera aperta agli influssi delle culture circostanti, ma nel nocciolo del suo sentire profondamente italiana e inossidabilmente fiumana. Fiume! Sin dal 1779 il Corpus Separatum della Sacra corona ungherese. Uno statuto giuridico ad hoc, concesso da Maria Teresa d’Austria, con il quale il popolo fiumano si autodeterminava e si sarebbe difenso dalle pretese di ogni straniero, ungherese o croato che fosse. Fiume, che nel corso dell’Ottocento diventava uno dei porti maggiori d’Europa e centro industriale di prim’ordine in cui si fondavano e si ingrandivano moderni cantieri navali, dove nasceva il Silurificio Whitehead e dove nel bel teatro della città si rappresentavano le più belle opere liriche dell’epoca. Un teatro, in stile di quello viennese, dove si vedevano spesso, accanto ai nobili e ai borghesi, anche mastri artigiani e piccoli commercianti. Una città fondata sul lavoro e immersa nel bel Golfo del Quarnaro, un mare che seppe incantare poeti e letterati, non ultimo Gabriele D’Annunzio, principale artefice dell’Impresa fiumana che ebbe inizio il 12 settembre del 1919. Un golfo che non passò inosservato nemmeno a Dante Alighieri, che nel IX canto dell’Inferno scrisse “Si com’a Pola presso del Quarnaro che Italia chiude e i suoi termini bagna..”.
La città di San Vito, Sankt Veith am Pflaum, fu il nome medievale di Fiume datogli dai signori austriaci di Waldsee e poi dagli Asburgo. A quel santo l’amico Franco era molto devoto, come tutti i fiumani, credenti e non… E quando poteva tornare nella sua città, durante le giornate di festa patronali non poteva mancare alla messa in Cattedrale, come anche ad andare a tributare l’omaggio ai morti del cimitero cittadino di Cosala.
Una popolazione, quella di Fiume, che giunta l’ora delle scelte difficili non ebbe mai dubbi su quale Patria scegliere, prova ne è il proclama del 30 ottobre 1918 del Consiglio Nazionale Italiano (emesso alla fine della prima guerra mondiale) che tra le altre cose affermava:
Il Consiglio Nazionale Italiano di Fiume basandosi sul diritto di autodecisione dei popoli proclama Fiume unita alla sua madrepatria l’Italia.
Queste le chiare parole di un popolo che non aveva mai accettato e non accetterà mai di essere sottoposto a nessuno, tanto meno alla Jugoslavia.
Oggi ricorre il 12 novembre firma del trattato di Rapallo (1920) con il quale, dopo la violenta e triste cacciata dei dannunziani in seguito agli scontri del Natale di Sangue del 1920, si diede vita allo Stato Libero di Fiume. Un’entità autonoma che, in mancanza d’altro rispecchiava un’altra opzione politica bene accetta dai fiumani. Tutto…fuorché divenir croati. Sappiamo che l’autonomia fiumana non resse e che dopo alterne vicende nel 1924 la città fu annessa al regno d’Italia con piena soddisfazione di tutti. Fiume e i fiumani poterono così continuare ad essere se stessi, nonostante le limitazioni imposte dal regime fascista, almeno fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. La città quarnerina arrivò a contare nel 1940 circa 60.000 abitanti. La grave sconfitta subita dall’Italia nell’immane conflitto, creò poi le condizioni affinché le armate della Jugoslavia di Tito la occupassero e con essa Trieste, Zara, Pola e tutta l’Istria. Foibe, fucilazioni, deportazioni, repressione di ogni forma di libertà e di pensiero, la chiusura delle maggior parte delle scuole italiane, la perdita dei posti di lavoro, una politica antitaliana da parte del regime comunista jugoslavo, seminarono il terrore nella nostra gente. L’unica salvezza fu quella di riparare nel resto d’Italia, dove si stava ricostruendo la democrazia e dove il 90% della popolazione fiumana, come anche quella istriana e dalmata giunse non sempre bene accolta. Molto fu sopportato dagli esuli in fuga: il disagio dei campi profughi, l’attacco di formazioni politiche che in essi vedevano residui di fascismo per il loro amore verso la Patria italiana e poi l’addio alle proprie case, alla terra, ai morti… Tutto questo fu affrontato dai fiumani e dai fratelli istriani e dalmati per rimanere italiani e liberi! Questo è stato anche il messaggio di Franco Gaspardis, nostro dirigente e amico, che tramite la sua testimonianza e i suoi racconti scritti ha dato lustro alle nostre iniziative con il mondo della scuola, valorizzando sempre e dovunque anche il bel dialetto fiumano. Uno dei pochi che ha saputo raccontare le tristi esperienze della guerra e dell’esodo attraverso gli occhi dei bambini, dei muleti. Una capacità, quella di Franco, di trasmettere con estrema passione e grande dignità pezzi di vita vissuta, senza accenti di autocommiserazione ma con l’orgoglio di un’identità, quella fiumana e italiana di Fiume che è stata la vera forza interiore di un popolo, che ha pagato per tutti una guerra persa e soprattutto una pace disastrosa. Oltre 300.000 gli esuli fiumani, istriani e dalmati da terre che avevano popolato da secoli e che solo con la forza furono tolte all’Italia dopo il 1945. Agli slavi vincitori, con l’amara via dell’esodo intrapresa dai giuliani e dalmati non hanno dato l’opportunità di snazionalizzare chi ha sempre voluto e amato l’italianità nei secoli, anche prima che l’Italia concludesse la sua unificazione statale e arrivasse in Adriatico orientale. Franco e la sua famiglia hanno fatto questa scelta e ne hanno testimoniato, come si sta facendo anche oggi, il nobile valore. Tanto ancora mi verrebbe da dire, ma come avrebbe a un certo punto esclamato Franco: “ Muli, bando alle ciacole e andemo avanti! ”. E andiamo avanti così! Ciao Franco!
Marino Micich
Direttore Archivio Museo storico di Fiume