«Sarei della stessa opinione del presidente della Provincia di Bolzano Luis Durnwalder, là dove dice che non parteciperà il 17 marzo ai festeggiamenti per i 150 anni dell’unità d’Italia. Sono cose che personalmente non mi toccano».
Boris Pahor, il grande vecchio degli sloveni di Trieste, è una voce fuori dal coro. O, meglio, è l’interprete della parte, e ce ne sarà, che rimane più distaccata proprio perché più critica.
Chiarisce però Pahor: «Ho ammirato come tanti altri in tutta Europa la politica e la lotta per l’unità risorgimentale perseguite dall’Italia nella sua storia. Io credo, tuttavia, che tale unità d’Italia non sia stata coltivata nel modo giusto».
Secondo l’autore di Necropoli – la cui trasposizione teatrale è fresca di rappresentazione al Verdi, nell’ambito di un’inedita collaborazione culturale fra Trieste e Lubiana in quanto capitale mondiale del libro 2010 – «forse sarebbe stato meglio costruire un’unità di natura federale. E invece l’Italia ha pensato, subito dopo questa sua stessa unità, di farsi valere come una grande potenza, invece di occuparsi di quelle che erano le sue necessità interne».
Appena quattro giorni fa, all’indomani dell’oltraggio alla Foiba di Basovizza – dov’era comparsa la scritta «Nessun ricordo per i fascisti di ieri, nessuno spazio per quelli di oggi» – Pahor aveva bollato senza riserve l’episodio come «una porcheria».
(pi.ra. su Il Piccolo del 18 febbraio 2011)