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19 nov – 100mila le vittime di Tito fra ’45 e ’46

Il governo della Repubblica di Slovenia ha recentemente pubblicato un volume dal titolo «Relazione della Commissione della Repubblica di Slovenia per la soluzione dei problemi legati ai luoghi di sepoltura nascosti, per il mandato 2005-2008». Si tratta di un lavoro realizzato da una commissione governativa che ha permesso finora di individuare su tutto il territorio sloveno, 581 luoghi di sepoltura «occultati».

Si tratta, ad esempio, di grotte, foibe o fosse comuni, dove nel periodo tra la primavera del 1945 e i primi mesi del 1946 furono sepolti i corpi, secondo le stime indicate, di più di centomila vittime del regime comunista jugoslavo.

Il lavoro, presentato ieri a Trieste nella sede dell'Unione Economica Slovena, è stato curato da un gruppo di esperti nominati dal governo sloveno, che attraverso un'indagine di tipo archeologico svolta tra il 2005 e il 2008, hanno assistito all'esumazione di circa 2000 vittime.

Fin dagli anni Novanta, con la dissoluzione della Jugoslavia, i governi sloveni si sono impegnati attraverso la nomina di apposite commissioni, in un lavoro di ricerca dei luoghi di sepoltura occulti su tutto il territorio sloveno.

Dal 2002, grazie al lavoro delle commissioni, si sono ottenute delle indicazioni precise sulle fosse comuni e sulle foibe utilizzate durante il regime di Tito. Il lavoro curato da Joze Dezman, presidente della Commissione e direttore del Museo di storia contemporanea di Lubiana, suddiviso in dodici saggi e relazioni di tipo tecnico-scientifico, ha portato alla realizzazione di questa prima pubblicazione che rappresenta una delle fonti primarie per una successivo approfondimento storico.

«Una ricerca di base – spiega il curatore Dezman – che ci ha permesso di stimare il numero di vittime tra civili e militari che hanno perso la vita in quegli anni cruciale».

«Tra le vittime civili e militari c'è da fare una distinzione – prosegue Dezman -. Da un lato ci sono i membri degli eserciti sconfitti che dalla Jugoslavia si ritiravano a nord, verso la Slovenia, dall'altro gli sloveni oppositori, i cosiddetti domobranci, rinchiusi nei campi di prigionia e poi uccisi e infine i civili nemici di classe o nemici del popolo. Su queste vittime, che contano tra i civili un numero che varia tra i 15 mila e i 20 mila e tra i militari domobranci, un numero che va dai 12 mila ai 14 mila le stime sono abbastanza certe, perché esistono gli elenchi con i nominativi».

Un lavoro, questo, curato anche dall'Istituto di Storia Contemporanea di Lubiana. Sulle altre vittime che riguardano militari croati, serbi, tedeschi e italiani le stime sono più incerte perché non sono presenti elenchi specifici. Secondo quanto indicato dal lavoro della commissione governativa, il numero di militari croati, ustasa alleati del regime nazista, che hanno perso la vita nel periodo che va dalla primavera del 1945 al gennaio del 1946 varia da 50 mila a 80 mila, tra i militari serbi, cetnici filo monarchici e nazionalisti si stimano 10 mila vittime, un numero identico anche tra i prigionieri tedeschi.

Sul numero degli italiani che hanno perso la vita in quel periodo, il lavoro indica con certezza 1500 corpi già esumati di militari caduti in guerra e ora sepolti a Redipuglia. Per la ricerca, continua Dezman, abbiamo utilizzato dei metodi scientifici, molto simili a quelli utilizzati in Spagna nella ricerca delle vittime del regime franchista, attraverso la collaborazione della polizia di stato che sta svolgendo delle indagini e l'analisi del dna per risalire all'identificazione delle vittime. Non sono state invece molto utili, ai fini dello studio e del ritrovamento dei luoghi di sepoltura, le testimonianze dei parenti delle vittime, perché ancora oggi esiste molta reticenza nel parlare di questi argomenti, ma non solo, continua Dezman, molte dei familiari delle vittime durante il regime comunista sono emigrate all'estero e quelle rimaste hanno subito pesanti discriminazioni.

Pochi invece, se non proprio inesistenti, i processi in corso per l'individuazione dei mandanti dei crimini, le uniche azioni giudiziarie portate avanti dalla polizia slovena non hanno permesso trovare le prove sufficienti per la carcerazione dei responsabili.

Al di là del numero esatto delle persone che hanno perso la vita negli eccidi perpetrati durante il regime comunista, il lavoro condotto dalla commissione governativa slovena getta nuova luce sul fenomeno delle foibe, tristemente noto anche in Italia, dove soprattutto in anni recenti è stato oggetto di ampio scontro politico. Secondo il professore Raoul Pupo, specialista della materia e storico dell'Università di Trieste, il fenomeno della scomparsa di civili e di militari nell'approssimarsi della fine del secondo conflitto mondiale era già noto. Il valore della ricerca consiste a prima vista nel fornire allo studioso una gran messe di dati specifici, che dovranno però essere oggetto di approfondita riflessione da parte degli storici.

(fonte Il Piccolo)

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