daila

19ago/15.26 – Toth (ANVGD) su Daila, Vaticano e Osimo

La decisione della Santa Sede di riconoscere i diritti di proprietà sul monastero istriano di Daila ai Benedettini dell’Abbazia veneta di Praglia sta suscitando reazioni risentite da parte delle autorità croate, che dovrebbero avere a cuore sopra ogni cosa i buoni rapporti tra la Chiesa di Zagabria e la Chiesa di Roma, rinsaldati dalla recente e trionfale visita in Croazia di Benedetto XVI.

 

Trattandosi di una decisione emessa ai massimi vertici della Chiesa essa meriterebbe rispetto da parte di tutti, credenti e non credenti. Vederci dietro retroscena politici è del tutto fuorviante.

 

E’ chiaro che la lunga storia del monastero di Daila, presso Cittanova, come di tutta l’Istria, difficilmente poteva portare a soluzioni diverse. Da sempre quel territorio faceva parte delle province italiane di tutti gli ordini religiosi (Benedettini, Francescani, Domenicani, ecc.).

 

Il governo iper-nazionalista di Tudjman non andò tanto per il sottile quando restituì i beni del monastero di Daila alla Diocesi, oggi croata, di Pola e Parenzo, che ne ha fatto l’uso che riteneva più opportuno, vendendoli a privati in preziose lottizzazioni lungo la costa istriana. Il governo croato insomma restituì allora alla Chiesa nazionale quello che rifiuta di restituire ai privati italiani dell’Istria e della Dalmazia che videro i loro beni incamerati dallo Stato croato, invocando gli Accordi di Osimo del 1975, avvalendosi così delle spoliazioni dell’ex-regime comunista.

 

A questa logica evidentemente non soggiace la giustizia della Chiesa, che forte di una saggezza e di una dottrina millenaria, obbedisce ai suoi criteri morali e giuridici. Se a qualcuno quel monastero doveva essere restituito, secondo le norme del diritto ecclesiastico, non poteva che essere l’Ordine benedettino cui era appartenuto e precisamente all’Abbazia di Praglia, cui un nobile istriano lo aveva lasciato in testamento, come è avvenuto per secoli da quelle parti.

 

Pur trattandosi di una questione giuridicamente complessa che riguarda esclusivamente i rapporti tra lo Stato croato e la Santa Sede – in quanto tale estranea agli accordi di Osimo – essa finisce per porre in risalto non solo l’originaria iniquità delle espropriazioni del regime di Tito, accompagnate da violenze e persecuzioni, ma anche la mancanza di una soluzione equa dei problemi che ne sono derivati da parte di uno Stato democratico che sta per entrare nell’Unione Europea.

 

La Conferenza Episcopale Croata ha invitato i fedeli a rispettare le decisioni vaticane e a non alimentare risentimenti che rischiano di compromettere l’immagine di un popolo che aspira alla pace e alla collaborazione con i suoi vicini. Quale sarebbe la colpa dei Benedettini di Praglia per essersi appellati all’ordinamento interno della Chiesa?

 

Non sarebbe meglio restituire un po’ di spazio se non alla fede almeno alla ragione?

 

On. Lucio Toth, presidente nazionale ANVGD

 

(il monastero benedettino di Daila)

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