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20 mag – Foibe: sterili posizioni smentite dalla storia

L'addetto stampa dell'ANVGD, Patrizia Hansen, ha inviato al direttore del quotidiano "Messaggero Veneto" la seguente lettera, riferita ad un articolo che abbiamo riportato anche sul nostro sito al link http://www.anvgd.it/index.php?option=com_content&task=view&id=8692&Itemid=144.

 

Gentile Direttore,

Leggiamo sul Suo quotidiano del 14 maggio scorso la cronaca (La sinistra: false le cifre sulle foibe a firma di Giacomina Pellizzari) dell’incontro a Udine di alcuni noti esponenti di area filo-jugoslava sul tema delle Foibe e dell’esodo giuliano-dalmata. Ora, nulla di nuovo, trattandosi delle sterili e vetuste posizioni espresse da un settore ormai del tutto marginale della politica e della propaganda riconducibile alle ideologie e ai regimi del Novecento, largamente smentiti dalla storia e che nessuna persona di buon senso e di semplice onestà intellettuale potrebbe pensare di rimpiangere.

Tuttavia, riteniamo doveroso stigmatizzare la posizione di quel piccolo fronte che ha adottato da anni, con una reiterazione costante ed ormai ossessiva, lo strumento della riduzione e della giustificazione quale chiave di lettura e di interpretazione della tragica storia che ha investito i territori orientali italiani stretti tra l’«Adriatisches Küstenland» nazista prima e la feroce occupazione jugoslava poi di province già assegnate all’Italia a seguito di trattati internazionali, ed abitate da una popolazione di lingua, di cultura e di aspirazioni italiane di antico insediamento storico.

A beneficio dei lettori, riteniamo indispensabile richiamare alcuni cardini sui quali – per condivisa acquisizione da parte della politica nazionale di maggioranza e di opposizione, esclusa la sinistra estrema, e della migliore storiografia contemporanea – si fonda il ricordo delle Foibe e dell’esodo.

Nel 1992 il Presidente Scalfaro ha elevato la Foiba di Basovizza – emblema degli eccidi consumati dai partigiani di Tito in tutta l’Istria, nel territorio di Fiume e, mediante annegamento, in Dalmazia – a monumento nazionale, affidandola al «rispetto della nazione». I suoi successori, i Presidenti Ciampi ed oggi Napolitano, hanno dato voce autorevole e ponderata alla storia finalmente affrancata – dopo il disfacimento delle ideologie totalitarie del secolo passato – dalle ipoteche imposte per decenni dai dogmi del partito unico e dalle convenienze interne ed internazionali, e che hanno imposto per decenni il silenzio e il monopolio di quella storia –  così come, per altro verso, della Resistenza – da parte delle forze comuniste.

Come hanno ricordato recentemente Paolo Segatti e Stelio Spadaro, «grazie alla legge del Ricordo e alla attenzione costante espressa dalle più alte autorità repubblicane il ricordo delle sofferenze delle genti giuliano-dalmate è stato sottratto alle polemiche di parte. […] Tanto più che strappare la memoria dell’esodo e delle foibe alla dannazione delle polemiche di parte significa non solo poter ricordare da italiani vicende che quasi sessanta anni fa hanno colpito altri italiani. Ma significa anche da cittadini della Repubblica avere l’occasione di riflettere su quale è stata l’esperienza storica, civile, politica degli italiani della costa orientale dell’Adriatico, dei giuliani, fiumani e dalmati di lingua italiana». Un’indicazione, questa, seguita ormai da anni dalla più attenta storiografia contemporaneista, rappresentata da studiosi di diverso orientamento come Marina Cattaruzza, Gianni Oliva, Giuseppe Parlato, Raoul Pupo, Fulvio Salimbeni, Roberto Spazzali ed altri, ai quali dobbiamo un inquadramento scientifico e rigoroso dell’intero contesto, nazionale ed internazionale, nel quale quei tragici eventi maturarono; finalmente sottratta l’indagine storica alle manipolazioni politico-ideologiche che si vorrebbero ancora proporre fuori tempo massimo.

Autorevoli esponenti dell’antifascismo, da Benedetto Croce a Leo Valiani (quest’ultimo nativo di Fiume), hanno nettamente ricusato in sede di Assemblea Costituente e in occasione di successivi interventi pubblici (si veda, per Valiani, l’ampio dibattito a più voci ospitato nell’estate del 1996 sul “Corriere della Sera”), le tesi giustificazioniste; le quali, peraltro, spostano arbitrariamente la centralità del tema oggetto della legge istitutiva del Giorno del Ricordo (l’esodo di centinaia di migliaia di italiani, per lo più autoctoni, dal loro territorio di insediamento storico), e risultano dunque del tutto fuorvianti, storicamente e moralmente inaccettabili, quando si commemorano piuttosto le sofferenze della popolazione costretta all’esodo e all’abbandono dei beni a seguito delle violenze e delle pressioni dei partigiani jugoslavi di Tito; i quali ben prima di ogni tavolo della pace proclamarono unilateralmente l’annessione della Venezia Giulia e di Zara alla Jugoslavia comunista.

In ultimo, corre l’obbligo di esprimere l’inquietudine che un’espressione come «guerriglia» (con improprio riferimento alla cultura), usata da una dei partecipanti e riportata dalla cronista, lascia nel lettore. Se la scelta lessicale non è mai casuale, viene da pensare che si sia voluto trasferire su un piano simbolico –  coscientemente o meno – una memoria drammatica, che le popolazioni europee dovrebbero conservare per prenderne, in maniera sempre rinnovata, le distanze.

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