Nella puntata di oggi, dedicata alla vita e alle opere dell’Apostolo degli Esuli giuliano-dalmati Padre Flaminio Rocchi di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita e il decennale della morte, il francescano propone le sue riflessioni sul Trattato di Osimo e sui rapporti con la ex Jugoslavia. I testi sono sempre tratti dal libro “Padre Flaminio Rocchi: l’uomo, il francescano, l’esule” edito dalla ANVGD. Dopo la foto trovate i link per accedere alle puntate precedenti.
Dopo la cessione in gran segreto della Zona B alla Jugoslavia con il Trattato di Osimo nel 1975, Padre Flaminio commenta questo colpo di grazia all’orgoglio degli Esuli e il successivo dibattito in Parlamento.
«Il 10 novembre 1975, alle ore 8.30, il Ministro degli Esteri, Mariano Rumor e il primo ministro iugoslavo, Milos Minic, all’insaputa della stampa, hanno firmato a Osimo, nella villa privata dei conti Leopardi Dittaiuti, l’accordo con il quale l’Italia ha ceduto alla Jugoslavia anche la Zona B: 529 chilometri quadrati con 53.317 italiani e 9.683 sloveni.
Eravamo in piena pace. Tito aveva affermato che i rapporti con l’Italia erano ottimi. La popolazione non è stata consultata. Tutti gli italiani, traditi ed espropriati, sono fuggiti a Trieste. Dodicimila hanno continuato la fuga fino all’Australia. Perché questo regalo?
Il Dott. Eugenio Carboni, negoziatore dell’accordo di Osimo, ha indicato le seguenti quattro ragioni; per creare una Zona Franca italo iugoslava alle spalle di Trieste (ma Trieste si opporrà), per creare una gigantesca idrovia, con cisterne tipo Panama, per scavalcare le Alpi e raggiungere il Danubio (sogno irrealizzabile per le finanze italiane e slovene), per un atto di omaggio al grande maresciallo Tito (che invece verrà dimenticato e cadrà con la sua Jugoslavia), per evitare un eventuale scontro tra Tito e Stalin col pericolo di vedere apparire le Russia nell’Adriatico (ma la Russia e Stalin cadranno).»
«Ho spigolato nei discorsi dei deputati e dei senatori alcune frasi più significative dalle quali si rilevano sconcertanti contraddizioni: si esalta il trattato ed insieme si dichiara che esso costituisce una giusta punizione dell’Italia per le colpe del fascismo, defunto da oltre 30 anni; si esprime un profondo dispiacere da parte di tutti gli oratori, dalla destra alla sinistra, ma poi la maggioranza vota in favore della cessione della Zona B; si protesta che si vogliono difendere gli interessi italiani e si consegnano allo straniero 529 chilometri di territorio nazionale; ci si dichiara democratici di avanguardia e si trattano 63.000 cittadini come gregge togliendo loro casa e lavoro; si invoca la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo che impone esplicitamente la consultazione delle popolazioni nei casi di trasferimento, di cambiamento della cittadinanza, di esproprio dei beni e si elabora in segreto un trattato e lo si impone in tempo di pace senza interpellare gli interessati; ci si richiama ai supremi valori della distensione e si rende servile omaggio ad un regime persecutorio che ha obbligato all’esodo 350 mila persone; si riafferma pomposamente la coerenza della nostra politica e si rivelano grossolane bugie diplomatiche; si annuncia una nuova, sbalorditiva economia per Trieste e si strozza il porto attraverso il quale dovrebbe passare detta economia; si esprime commovente solidarietà verso i sentimenti dei profughi e si trascurano freddamente i loro diritti civili ed economici; si sottolineano le sofferenze passate e le rivendicazioni attuali della minoranza slovena in Italia e si abbandona all’arbitrio la minoranza italiana in Jugoslavia. […] Per molti l’Italia finisce a Trieste. Quello che sta dietro, l’Istria, non è conosciuto e non conta. Molti funzionari chiedono se Zara, Capodistria sono o erano italiane. […]
Il 16 dicembre 1976 la Camera dei deputati discute la ratifica dell’accordo cioè la cessione della Zona B. Su 550 deputati, in aula ce ne sono solo 15. Scrive A. Vascon su “Il Piccolo”: “L’attenzione di questi è inesistente. Qualcuno legge giornali, sfoglia riviste; uno scrive, uno esamina e ordina fascicoli, altri conversano, chi ride, chi passeggia. Un deputato offre la visione della sua pelata reclinata sul banco: dorme”. Per il governo c’è soltanto Forlani: esamina, scrive, firma carte. Nella tribuna del pubblico sono in sette: due donne, tre uomini, un giovane, un frate: tutti giuliani. All’atto delle votazioni 400 deputati si precipitano nell’aula. Uno dei loro capi, che è rimasto a sentinella, alza o abbassa il pollice. Così, dei 400 deputati presenti 349 votano “si” e 51 “no”.»
Non manca uno sguardo al passato e soprattutto una lungimirante visione del futuro che -chissà- forse risulterà profetica.
«In Istria, soltanto dopo la caduta di Tito e dopo il crollo politico ed economico del comunismo i 15.232 italiani sono arrivati a oltre 50mila. Ma alcuni di loro vanno dicendo che loro, i rimasti, sono i veri italiani, che noi siamo venuti in Italia non come profughi perseguitati, ma come emigranti economici in cerca di lavoro, che eravamo dei fascisti, avevamo paura della loro giustizia democratica, cha eravamo dei capitalisti sfruttatori, dei reazionari incapaci di convivere e di dialogare. Aggiungono che è vero che alcune migliaia di italiani sono stati eliminati o infoibati senza processo, anche se erano donne e bambini, anche se appartenevano ai Comitati di Liberazione, ma che non conviene evocare i loro fantasmi: meglio chiudere questo passato con una pietra e deporvi sopra una corona a quattro mani. […] Noi profughi proviamo una grande pietà per le sanguinose lacerazioni nella ex Jugoslavia. Conosco famiglie giuliane che si sono fatte promotrici di una generosa solidarietà. Non vogliamo né odio, né vendetta, né rivendicazioni belliche.»
«I rapporti degli esuli con i croati e con gli sloveni possono aprirsi a un avvenire più cordiale se oltre confine si riconoscerà che le deportazioni e gli infoibamenti sono stati dei crimini, che l’esodo è stato imposto da una crudele pulizia etnica contro gli Italiani, considerati una impurità etnica. […]
I vecchi esuli ritornano ai loro paesi in veste di pellegrini e di turisti. Percorrono in silenzio le strade della loro gioventù, si soffermano in meditazione davanti alla loro casa, visitano le chiese del loro battesimo e del loro matrimonio, depongono un fiore sulla tomba dei loro padri, lasciano un’offerta per i defunti e per la chiesa.
M’auguro che le nostre lingue, che ci hanno divisi, si incontrino nella comunità dell’Europa Unita; che le nostre frontiere politiche si abbassino; che nell’Adriatico, mare di troppi scontri, le nostre navi si salutino con le vele gonfie col vento dell’amicizia.»
«I figli dei primi occupatori slavi, privi di ricordi personali, s’accorgono di trovarsi a contatto con un mondo nuovo. S’aggirano con meraviglia tra gli edifici romani e veneziani. Sentono che attraverso quelle strade e attraverso quelle case, che non furono costruite per i loro gusti, sono passate espressioni di una civiltà differente, più ricca di quella balcanica. Questi giovani seguono con curiosità i profughi giuliani che ritornano come turisti nella Venezia Giulia e che erano stati descritti loro come nemici secolari da disprezzare. Scoprono che si tratta, invece, di visitatori cortesi e simpatici; clienti generosi che lasciano grosse offerte per riparare le chiese e i cimiteri e spesso invitano gli attuali occupatori delle loro case a visitare l’Italia, loro ospiti. “Peccato -dicono questi giovani- che gente così buona e così laboriosa sia andata via”.»
Nel 1998 così risponde alla lettera di un profugo che suggeriva un riavvicinamento fra gli Esuli e le autorità della ex Jugoslavia.
«Purtroppo la parte politica, scolastica, religiosa d’oltre frontiera continua a respingere, dopo cinquanta anni, i Suoi suggerimenti. Dicono che la nostra presenza in Istria è stato un abuso imperialistico, che le migliaia di infoibati sono stati dei criminali, affamatori del popolo, che l’esodo è stato una fuga di emigranti, di colpevoli. “Questo passato -dicono- va sepolto sotto la pietra della dimenticanza. Voi, italiani, per espiare i crimini della dittatura fascista, dovete darci 27 miliardi (lire ndr) mensili per 32.000 pensioni, 8 miliardi all’anno per la vostra minoranza, nuovi accordi finanziari e l’appoggio determinante per farci fruire dei benefici economici dell’Europa Unita”.
Caro signore, è un discorso difficile da farsi oggi agli esuli “i quali -come ha detto il Presidente Scalfaro al Parlamento di Zagabria- hanno ancora molte ferite aperte”.»
Prima puntata: biografia sintetica http://www.anvgd.it/notizie/14901-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-1-12mar13.html
Seconda puntata: vita da cappellano militare http://www.anvgd.it/notizie/14913-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-2-14mar13.html
Terza puntata: l’esperienza di cappellano militare in Corsica http://www.anvgd.it/notizie/14945-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-3-19mar13.html
Quarta puntata: i ricordi della sua Neresine http://www.anvgd.it/notizie/14961-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-4-22mar13.html
Quinta puntata: l’impegno nell’ANVGD http://www.anvgd.it/notizie/14987-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-5-26mar13.html
Sesta puntanta: le Foibe http://www.anvgd.it/notizie/15014-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-6-02apr13.html
Settima puntana: l’Esodo giuliano-dalmata http://www.anvgd.it/notizie/15034-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-7-04apr13.html