In questo nuovo anno saranno tante le ricorrenze e gli anniversari particolarmente significativi attinenti la storia della frontiera adriatica.
A partire dai 110 anni dall’entrata del Regno d’Italia in quella che i contemporanei chiamarono Grande Guerra, ma che per tanti giuliani, trentini, fiumani, dalmati e irredentisti fu vissuta coma la Quarta Guerra d’Indipendenza, quella che avrebbe portato a compimento il percorso risorgimentale dell’unificazione italiana.
80 anni poi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, cui avrebbero fatto però seguito pesanti strascichi. Rimase infatti aperta la questione del confine orientale, ove le formazioni partigiane comuniste jugoslave avevano scatenato la seconda ondata di stragi nelle foibe e compiuto un significativo passo avanti nel progetto annessionistico nei confronti di Trieste, Gorizia, Istria, Fiume e Zara. Lungo e funestato da ulteriori lutti (strage di Vergarolla in primis, ma anche l’annientamento del Comitato di Liberazione Nazionale in Istria ed il martirio in odium fidei di Don Bonifacio ad esempio) sarebbe stato il dopoguerra giuliano scandito dall’incrementarsi quotidiano dell’emergenza umanitaria che la Repubblica italiana giovane, fragile e disastrata dal conflitto avrebbe affrontato di fronte all’Esodo.
50 anni, poi, dalla firma del Trattato di Osimo, la conclusione dal punto di vista diplomatico della complessa ridefinizione del confine italo-jugoslavo. Un trattato stipulato in maniera occulta, addirittura bypassando il Ministero degli Esteri, il quale stava conducendo la trattativa tenendo presente l’interesse nazionale ed i margini di manovra che il diritto internazionale riconosceva all’Italia. Un trattato firmato in fretta e furia scaricando sui triestini e gli esuli istriani decisioni tanto inattese quanto prive di coinvolgimento nel processo decisionale. Si trattò di una manifestazione del potere assoluto della partitocrazia romana, la quale mise di fronte al fatto compiuto anche le sue emanazioni locali, che in effetti furono attraversate da una profonda crisi che avrebbe portato a espulsioni, fuoriuscite e mancate ricandidature. Ma soprattutto alla nascita del movimento civico della Lista per Trieste, un antesignano a livello nazionale di quelle che sarebbero state le pulsioni autonomiste della politica italiana avviatesi a fine anni Ottanta e che oggi animano il dibattito sull’autonomia differenziata.
Ma il 2025 non avrà solamente gli occhi rivolti al passato, sarà pure un anno che guarderà al futuro, alla cooperazione ed alla convivenza in quest’area di frontiera. Sarà un anno che verrà ricordato come quello in cui per la prima volta la Capitale Europea della Cultura è un evento transfrontaliero, in cui Nova Gorica ha ottenuto il prestigioso riconoscimento sì in rappresentanza della Slovenia, ma coinvolgendo Gorizia. Una città che si riunisce dopo che la linea di confine definita dal Trattato di Pace del 10 febbraio 1947 l’aveva attraversata, divisa e lacerata. Una città che supera il trauma di un tracciato di mattoni e filo spinato che riecheggiava in maniera angosciante quel Muro di Berlino che più di tutto rappresentò agli occhi del mondo la divisione dell’Europa e del mondo in due blocchi contrapposti che si confrontavano nelle dinamiche della Guerra Fredda. Il fulcro di GO!2025 (è questo lo slogan della duplice Capitale Europea della Cultura) sarà Piazza della Transalpina, ove questo confine artificiale ed artificioso separava il capoluogo isontino dalla sua periferia orientale che la dittatura comunista jugoslava aveva trasformato in una città di fondazione, i cui allucinanti palazzoni del socialismo reale avrebbero dovuto rappresentare i trionfi del proletariato agli occhi del mondo capitalista. Mondo capitalista che sosteneva finanziariamente il progetto economico di Belgrado dell’autogestione e che aveva legato a sé la Jugoslavia leader dei “Non allineati” con un’alleanza militare con Grecia e Turchia che facevano parte della NATO, ma questa è un’altra storia… La storia che il 2025 lascerà in eredità ai posteri è quella di due città divise e contrapposte che hanno dato vita ad un Gruppo Europeo di Cooperazione Trasnfrontaliera tra i più virtuosi, ad una Capitale Europea della Cultura che ha superato le conflittualità ed ha proiettato con ancora maggiore convinzione una regione di confine in una dimensione europea di riconoscimento delle proprie specificità e vicende storiche ma tenendo presente ciò che unisce e non ciò che separa.
Lorenzo Salimbeni
Fonte: La nuova Voce Giuliana – gennaio 2025