Ha avuto luogo a Gorizia l’undicesima edizione del Premio “Ss. Ilario e Taziano – Città di Gorizia” all’insegna delle novità, a partire dalla sede della tradizionale cerimonia di consegna del Premio che, per la prima volta dal 2001, ha lasciato l’Auditorium di via Roma per venire ospitata nello storico e affascinante Palazzo De Bassa.
Quest’anno si è voluto rendere omaggio al delicato e costante impegno di un goriziano che, a partire dagli anni ’50, ha dedicato la sua carriera alla comunicazione e all’informazione seria e oggettiva, con l’unico obiettivo di conoscere e far conoscere le verità della storia nazionale e internazionale. Si tratta di Gianni Bisiach: un goriziano che ha fatto parlare di sé per la sua cultura e che ha insegnato la storia a tante generazioni di italiani.
Ma in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia – ha annunciato il Sindaco Ettore Romoli – la Commissione valutatrice del Premio ha ritenuto di assegnare un riconoscimento speciale all’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (rappresentata alla cerimonia di Gorizia dal suo Presidente nazionale, l’onorevole Lucio Toth) perché, attraverso la sua attività ed il suo costante impegno, ha saputo far conoscere e comprendere l’intensità e la forza con cui le popolazioni giuliano-dalmate affermarono e difesero la propria italianità, seppur vittime di atroci violenze e gravi soprusi.
Nel ritirare l’alto riconoscimento, il Presidente Lucio Toth, si è rivolto al pubblico con il seguente intervento:
da www.arcipalegoadriatico.it
Ringrazio la Città di Gorizia e il Sindaco Sen. Ettore Romoli a nome dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia per l’onore di questo riconoscimento alla nostra Associazione in occasione delle celebrazioni goriziane dell’Unità Italiana, occasione quanto mai significativa per noi esuli giuliano-dalmati che in questi giorni ci riconosciamo una volta ancora figli della Madrepatria italiana. Non poteva esserci evento più emblematico in questa città di confine che ha segnato per decenni la frontiera tra due mondi ostili; città ricuperata alla patria nel lontano 1947, nello stesso giorno che ha segnato la perdita delle nostre città e dei nostri paesi natali: in Istria, nel Quarnaro, in Dalmazia.
L’ANVGD fin dalla sua nascita nell’immediato dopoguerra ad oggi è rimasta diffusa in tutta Italia, da nord e sud. E siamo stati come i semi di una diaspora che non ha avuto solo il fine di ricordare agli altri italiani il sacrificio degli istriani, dei fiumani e dei dalmati italiani, colpiti più di sessanta anni fa dai massacri delle Foibe e da un Esodo di massa – che privò quei territori di quasi la totalità della popolazione autoctona italiana – ma che ha assunto un significato più profondo che emerge proprio nel celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia.
Si sta dimostrando infatti attraverso la ricerca di studiosi italiani e stranieri come la vicenda del confine orientale italiano sia un nodo essenziale per capire la storia italiana ed europea del Novecento e quindi per mettere a fuoco il ruolo e le prospettive della democrazia occidentale.
C’è una “contemporaneità” delle vicende del confine orientale che le rende attuali alle problematiche del mondo globalizzato, perché i problemi che insorsero in Italia e in Europa negli anni 1914-1945, con la nascita del fascismo e del nazismo e con la loro sfida alle democrazie parlamentari dell’Occidente, non sono stati affatto risolti.
Ed oggi il nostro sistema democratico e la stessa rappresentatività delle istituzioni sono oggetto di diffidenza e sfiducia, specie da parte dei giovani che assimilano troppo spesso la politica al mero esercizio di un potere ottuso ed opaco.
L’essere luogo di incontro e di scontro fra le tre principali culture europee, la tedesca, la latina e la slava, e delle loro inquietudini filosofiche ed esistenziali, nonché dei loro squilibri economici e sociali, ha fatto sì che quanto avveniva in questo angolo centrale dell’Europa, tra le Giulie e l’Adriatico, sia un paradigma di tutto il travaglio della cultura europea del Novecento e della sua incapacità di risolvere le contraddizioni tra i suoi ideali politici e sociali e la realtà del mondo globale che si andava profilando. Questa frontiera, queste valli e questi monti che ci circondano, sono stati due volte teatro di massacri, di carneficine e di persecuzioni: una prima volta durante la Grande guerra e poi negli anni 1942-1947. Trincee e foibe ce lo ricordano con la drammaticità della loro contabilità di perdite umane. Su questa frontiera ci siano sbranati come europei in guerre fratricide che vogliamo lasciarci alle spalle per sempre.
Rileggere allora la storia del confine orientale italiano, della sua cultura, da quel Carlo Michelstädter – che con una sola tesi di laurea ha lasciato una traccia essenziale nella crisi della cultura europea, unico caso di suicidio di un uomo giovanissimo per eccesso di amore per la vita – alla letteratura triestina e istriana del Novecento, significa ripercorrere il fallimento dei grandi ideali ottocenteschi di libertà, uguaglianza e democrazia che si sono consumati nelle stragi delle trincee del Carso tra uomini che nulla sapevano gli uni degli altri, quindi da un troppo di autocoscienza a un’autocoscienza zero del proprio sacrificio supremo.
La storia delle nostre terre è stata trascurata come “storia minore”, di un angoletto buio tra le pieghe della storia – dove si poteva soffrire e morire senza che a nessuno importasse gran che – e invece in quei nostri contrasti c’era tutta la vitalità di un mondo in crisi. Che non sapeva mettere insieme i suoi ideali e si sfogava facendone pagare il fio alla nostra povera gente, travolta da un destino infinitamente più grande di noi. La faglia d’attrito tra i tre mondi: slavo, latino e germanico e tra tre ideologie: la marxista, la capitalista e la nazional-fascista era nei crepacci delle nostre foibe, nei campi di internamento, nelle masserizie ammucchiate sui moli delle nostre città.
E allora il Giorno del Ricordo non è solo un omaggio ai nostri morti e alla nostra testimonianza di italiani, ma un’occasione per capire che cosa non va in quest’Italia “unita”, di cui celebriamo i travagliati e contestati 150 anni. Un’unificazione alla quale le nostre regioni hanno portato il loro contributo di pensiero, di azione politica e di sangue di martiri ed eroi, da Niccolò Tommaseo a Isaia Ascoli, da Oberdan a Sauro.
Un’occasione per capire che quassù in cima all’Adriatico, è successo qualcosa, nella prima metà del secolo passato, che ha cambiato l’Europa: un incrocio di due amori esclusivi e feroci per la stessa terra, madre, amante e sposa e di due guerre civili sovrapposte che si è aggrovigliato in un nodo di contraddizioni ideologiche, sociali e morali che non è stato ancora sciolto e che racchiude forse il segreto delle tragedie del Novecento.
Lo stesso Esodo è frutto di una resistenza orgogliosa a non voler perdere la propria identità da parte di un popolo che l’aveva raggiunta a fatica con un travaglio interno, vivendo in se stesso appartenenze diverse, e non volendo tornare indietro, pena la morte dell’identità scelta e voluta e quindi la perdita totale di se stessi.
Dopo il Giorno del Ricordo oggi la ANVGD si è posta un altro compito arduo: ricomporre in quest’area geografica – che noi chiamiamo Venezia Giulia e Dalmazia e altri chiamano Litorale, Contea Istriana, Contea Marittimo-Montana – un cammino comune per i popoli italiano, sloveno e croato. Ciò sarà possibile non con dialoghi buonisti e rinunciatari, che hanno lasciato solo rancori e rivendicazioni surreali, ma con una serena definizione della propria identità nazionale, che imponga una presa di coscienza reciproca da parte dei nostri vicini, per non usare più di questa identità come di un’arma di lotta e di contrapposizione, ma come strumento di comprensione delle reciproche ragioni storiche e quindi di collaborazione per l’avvenire.
Lucio Toth, presidente nazionale ANVGD
Gorizia, 16 marzo 2011