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21 gen – La sentenza della Cassazione non smentisce la Storia

La sentenza con la quale la Corte di Cassazione stabilisce non esservi alcun riscontro documentale che comprovi il coinvolgimento di tre ex partigiani attivi nelle valli friulane del Natisone tra il 1943 ed il ’45 nelle deportazioni e negli infoibamenti di italiani operati dai reparti jugoslavi di Tito, dev’essere letta e considerata nei limiti del caso specifico qui richiamato.

La realtà storica degli eccidi e delle persecuzioni a danno della popolazione civile italiana è ampiamente acclarata dalla storiografia contemporanea che ha indagato con scrupolo scientifico sui tragici eventi che colpirono l’Istria e l’intera Venezia Giulia al volgere della seconda guerra mondiale. Così come è bene ricordare come la condanna dell’eccidio di Porzus – che vide i partigiani gappisti di stretta osservanza comunista fucilare elementi della Brigata Osoppo, contraria all’annessione dei territori orientali alla Jugoslavia –, sia stata formalizzata nel 1952 da una sentenza che condannò i responsabili a complessivi 777 anni di carcere, con sentenza confermata in appello e pertanto definitiva.

Resta da evidenziare come la denuncia delle persecuzioni e degli eccidi degli italiani dell’Istria, di Fiume e di Zara sia stata raccolta e rilanciata dalla stampa italiana e non di quel  tempo, prima che ragioni di opportunità interna ed internazionale mettessero per decenni la sordina alla tragedia della popolazione italiana autoctona costretta all’esodo. L’onesta lettura di quella drammatica pagina di storia italiana prevede che sia definitivamente sottratta alla lente deformante della contrapposizione tra ideologie e sistemi totalitari, che per decenni l’ha sacrificata offendendo la memoria e la dignità di un’intera popolazione civile che ha lasciato esistenze, relazioni, beni, defunti per avere salva la vita. 

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