di SILVIO MARANZANA su Il Piccolo del 21 novembre 2010
«La verità sui negoziati tra Italia e Jugoslavia per giungere al Trattato di Osimo sta per emergere. Vi stanno lavorando alcuni giovani studiosi sia in Italia, che in Croazia e in Serbia. Si sono resi disponibili nuovi documenti dagli archivi diplomatici ex jugoslavi e anche da fonti private italiane». Lo afferma lo storico e docente triestino Raul Pupo che annuncia anche che «un importante convegno in cui saranno convogliati tutti i nuovi contributi sul Trattato di Osimo sta per entrare nella fase organizzativa e speriamo di poterlo far svolgere, non sappiamo ancora dove, nell’autunno 2011».
Seppure a trentacinque anni di distanza dai fatti, non sono passate inosservate, al di qua e al di là del confine, le rivelazioni di Boris Snuderl, all’epoca presidente del Comitato per l’economia del Parlamento jugoslavo, che trattò in segreto tutta la questione con Eugenio Carbone, ex direttore generale del Ministero italiano dell’industria. Una delega pressoché in bianco a due funzionari economici «visto che – l’opinione di Snuderl – attraverso i normali canali diplomatici non era stato possibile raggiungere alcun risultato».
Eppure non andò esattamente così secondo un altro storico triestino, Roberto Spazzali, e secondo Giorgio Tombesi politico democristiano che nel 1976 fece il pieno di voti e fu eletto alla Camera dei deputati proprio a seguito della sua opposizione a Osimo. «A condurre la trattativa furono dirigenti di organismi economici – sostiene Spazzali – proprio perché il principale punto in questione era l’istituzione della Zona franca industriale a cavallo del confine. Il contenzioso territoriale invece era sostanzialmente chiuso fin dal primo memorandum, quello del 1952. Ormai Trieste era inesorabilmente gravitante verso l’Italia e la Zona B verso la Jugoslavia».
Ma nella Zona industriale sul Carso ci credeva una buona parte del Governo italiano. «E soprattutto – rileva Spazzali – c’erano forti pressioni da parte della Fiat che puntava a una delocalizzazione ante litteram. In uno stabilimento nella Zona franca avrebbe potuto assumere manodopera a basso costo proveniente in particolare da Bosnia e Montenegro. È il motivo per cui anche una buona fetta della nostra minoranza slovena era contraria, per timore di una ”alterazione etnica” del territorio».
«Carbone che agì da plenipotenziario – aggiunge Tombesi – faceva certamente gli interessi della Fiat. Ma c’è di più, ricordo che all’Associazione degli industriali di Trieste, a spezzare una lancia a favore del Trattato di Osimo, arrivò addirittura Gianni Agnelli».
Contro questa ipotesi però Trieste si sollevò, ci fu la raccolta delle 65 mila firme di protesta, nacque il Comitato dei dieci che avrebbe dato vita alla Lista per Trieste che un paio d’anni dopo giunse a governare il municipio con un monocolore guidato dal sindaco Manlio Cecovini recentemente scomparso. Tombesi, oppositore interno della Dc, arrivò in Parlamento. «Nella Dc – ricorda Tombesi – nacque il Mille (Movimento Italia libera in libera Europa) per rilevare la contraddizione di raccogliere voti in funzione anticomunista per poi fare maggioranze con i comunisti».
Se questa chiave di lettura è vera e il principale obiettivo del Trattato di Osimo era la zona industriale a cavallo del confine, subito cassata a furor di popolo, quel negoziato fu tutt’altro che un successo, come invece sostiene Snuderl.