Questa sera ho saputo che se ne andato quell’Ettore Lettich che tanto mi ha insegnato con il suo amore per la conoscenza nel funzionamento del cervello e la sua pazienza nel trasferire la sua passione.
Mi ricordo che a Seattle, tanti anni fa, mi chiese di lavorare con un professore dello staff del professore Ojemann, il dottore con cui aveva scritto e realizzato centinaia di operazioni e decine di articoli in cui approfondiva, di volta in volta, aspetti peculiari e strabilianti in merito al lobo temporale, all’ippocampo, all’amigdala, al cerebellum, ai modelli sull’epilessia, al morbo di Parkinson, alla sindrome di Creutzfeldt-Jakob, al terribile glioblastoma…
Già, il glioblastoma… mi ricordo che quando a mio padre ne fu diagnosticato uno, quello fatale, lui, sollecitato da me, non perse un momento, raccolse le fotografie della TAC trasmesse da 9000 km e corse dai suoi referenti che gli indicarono come e dove intervenire. Si appassionava alla salute di mio padre nella ricerca di una via di uscita, come nemmeno un parente stretto ne sarebbe stato capace. Chissà, se mio padre fosse vissuto a Seattle… magari avrei avuto la possibilità di intervenire come da lui indicato nel minimo dettaglio per asportare il suo brutto male.
Ettore era una persona stranissima, un vero figlio di ‘Squali del Carnaro’. Era nato ad Alessandria d’Egitto nel ’29. Suo padre, in quel luogo, lavorava per qualche società della Compagnia del Canale come pilota o cos’altro, mandato dal mitico Lloyd Austriaco di Trieste. Così, suo padre era austriaco (…), lui avrebbe dovuto essere austriaco alla nascita, ma nel ’29 era italiano, ma era sempre stato di lingua italiana, quindi, nel ‘29, era italiano, nato da un cittadino ex-austriaco, di lingua veneziana, dunque cittadino egiziano, arabo, insegnate in lingua francese di fisica e chimica in una scuola italiana in territorio controllato dagli inglesi…
Ma se qualcuno gli chiedeva di dove fosse lui diceva: “Lussignan! Coss’altro?”.
Cioè di Lussingrande!
Ho un ricordo tenerissimo di Ettore. Se qualcuno guarda su Google cercando ‘Ettore Lettich’ resterà stupito di come un Signore così sbattuto dalla storia potesse essere talmente intelligente da scoprire cose così importanti.
È figlio di quella Terra. È un ‘Ebreo dell’Adriatico’: errabondo ed acuto, sensibile e testardo, familiare e solingo, spigoloso e tenero, tirchio ed immensamente signore capace com’era nei suoi beaux gestes di aristocratica innata natura.
Un giorno, mi ricordo, era un giorno solare nella primavera straripante del Nord. Una giornata di una luminosità bellissima ed un calore avvolgente in barba ai luoghi comuni che un posto del Nord-Ovest con il parallelo uguale a quello parigino si trova a subire. Quel giorno Toni, mio suocero, cucinava un salmone alla griglia. Ettore era sempre ‘l’invitato di famiglia’ di Toni. La famiglia di Toni, del resto, era la sua vera famiglia. La sua casa era poca distanza da quella di Toni. Ettore non aveva nessun parente più stretto, a parte Toni ed Etty, nel raggio di 9000 km. Sua sorella e suo fratello vivono a Sidney. Sua cugina (paragonabile ad una sorella) vive a Roma. Ettore, che non aveva mai trovato una compagnia adeguata, aveva Toni ed Etty (e poi Tony Jr., Kathie, Lorie…) come tutori permanenti e sostanziali, non formali, dei suoi Thanksgiving, dei suoi 25 Dicembre, dei suoi Primi Gennaio e dei suoi 7 di Luglio (San Gregorio da Spoleto).
Mentre l’odore si spargeva per tutto il cortile, lui che sapeva che ero venuto lì per un convegno sulle reti neurali, cominciò a raccontarmi di come il cervello sia lento nel suo apprendimento, di come un PC sia mille volte più lesto nell’elaborare un’informazione, di come una palla di baseball lanciata da un’atleta ci metta meno tempo a raggiungere il bersaglio di quanto non sia consentito ad un battitore a riconoscere quella palla lanciata… “Un momento” ci guardammo negli occhi, “Come fa un battitore a colpire la palla?” ci domandammo all’unisono con sgomento, quasi che un dramma familiare, nel bel mezzo di un barbecue di salmone, fosse sopraggiunto. “Dunque, la palla va a tot all’ora, il battitore non sente odori, non sente suoni, non saliva più. Il battitore ha solo la visione concentrata sul rettangolo dove ipotizza che la palla arrivi. Ecco coma fa ad aumentare la sua velocità di risposta!”. Avevamo risolto un problema, quello definito come ‘fast learning’ in pochi minuti. Ed a quel punto, schernendoci l’un l’atro, aggiunsi “…si, ma chi te fa far i test co i tui maladi de zervel per provar ‘sta idea?”. Lui si mise a ridere e rispose “…ti doverì spiegar fisica ai nostri profesori, quel che ti capissi in un momento lori ghe mete ani”.
Si respirava stima. Si respirava rispetto. Si respirava ammirazione reciproca. Ed eravamo a 30 anni di differenza.
Ettore, dopo la guerra, non trovava lavoro in Italia (‘rimpatriato nella Madre Patria’ com’era) e così, invitato dalla sorella, andò a Londra. Lì si sottopose ad un test per cercare lavoro e diventare ‘portantino’ in un ospedale; ma chi valutava i questionari, intelligentemente, gli fece la proposta di diventare tecnico di elettroencefalogramma in un ospedale psichiatrico. Lui accettò e in quell’ospedale mise a punto un suo metodo che fece successo, tanto da essere richiesto dall’università di Washington a Seattle.
Quando fu ricevuto (richiesto, perché all’epoca per certi lavori dovevi essere esplicitamente richiesto dal Governo per accedere negli USA) si presentarono all’aeroporto con l’interprete in lingua araba… E già! Era nato ad Alessandria d'Egitto! Ma che problema c’era, Ettore conosceva anche quella e si mise lui a tradurre (la sua conoscenza ed il perché stava lì) al traduttore che a parte una banale lingua altro non sapeva.
Ettore se ne va ma la stirpe caparbia da cui proviene lo ama ancora, lo prega, ed ancora calca questa nostra umana storia.
Antonio Ballarin
PS: Per onorare il mio caro Maestro vi invito a scrivere sui motori di ricerca 'Ettore Lettich' brain e guardare un po’ qualche risposta.