di LORENZO FAZZINI su Avvenire del 20 gennaio 2011
Il suo confessionale alla Basilica del Santo a Padova era una base di preziosi informazioni: spionaggio popolare, accorto smistamento di materiale per far espatriare ebrei e ricercati. Quando si recava nel campo di concentramento di Chiesanuova, appena fuori Padova, il suo saio si «gonfiava » all’inverosimile: quell’occhialuto e claudicante fraticello indossava quanti più abiti poteva, poi li lasciava ai prigionieri che andava a visitare per «salvare loro anime. E se così salverò anche la loro vita, tanto di guadagnato ». Merita nuova luce la figura di padre Placido Cortese, frate minore originario di Cherso, attuale Slovenia, dal 1918 Istria italiana. I motivi non mancano: per diversi anni diresse il Messaggero di Sant’Antonio (con lui arrivato alla diffusione-record di 800 mila copie) ma soprattutto salvò migliaia di ebrei. A Padova Cortese collaborava con il «Fra-Ma», acronimo per Ezio Franceschini (futuro rettore della Cattolica) e Concetto Marchesi (celebre latinista comunista), uniti nell’organizzare una rete a favore dei prigionieri alleati. Ma anche monsignor Francesco Borgoncini Duca, al tempo nunzio apostolico in Italia e delegato pontificio per la Basilica di Padova (territorio della Santa Sede), aveva ufficialmente appoggiato nel 1942 l’impegno di padre Cortese. A questo «Perlasca con il saio», ucciso alla Risiera di San Sabba con un colpo di pistola (il suo corpo fu bruciato: quasi un’identificazio ne totale con quei fratelli ebrei per i quali tanto lottò), la giornalista Cristina Sartori dedica ora un’agile biografia, Padre Placido Cortese. La sua vita, dono del silenzio (Edizioni Messaggero, pp. 134, euro 9), in cui diversi coraggiosi complici del frate «giusto» offrono testimonianze, preziose anche per la causa di beatificazione in corso dal 2000. Cortese doveva essere tutt’altro che l’astratto intellettuale che il suo profilo tradisce, visto che era capace di inventare un linguaggio in codice: «'Padre, c’è una scopa da mandare in Svizzera'. 'Di che colore è questa scopa? Chiara o scura?'. 'Chiara, padre, forse sono due'.
'Capisco. Attendi in disparte e recita il Padre nostro. Raccomandati a lui'.
È così che avvisavo padre Cortese che c’erano dei prigionieri da aiutare. E quella frase significava che serviva un salvacondotto per far espatriare un fuggiasco, ebreo, inglese o americano, per sottrarlo alle Ss o ai nazi-fascisti».
Quelle stesse Ss che l’8 ottobre 1944 mandarono a chiamare il giovane padre- giornalista (nato nel 1907); da quel giorno nessuno dei suoi più lo vide.
Venne trasportato a Trieste ed eliminato il 15 novembre, ma resistendo alle torture indicibili di cui i suoi compagni furono testimoni (dita piegate, occhi pesti, capelli bruciati) senza tradire nessuno.
L’allora provinciale dei frati, Andrea Eccher, ne era convinto: «Se Cortese avesse parlato, mezza Padova sarebbe caduta nella rete nazista».
Da Padova nuovi testimoni sul «Perlasca col saio» che faceva espatriar e i ricercati dai nazisti e fu ucciso nella Risiera di San Sabba nel 1944