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23 gen – Lussino: l’Italia compra la villa che Tito requisì agli Esuli

da Il Piccolo del 23 gennaio 2010

di MADDALENA REBECCA

Umiliata e scippata due volte: nel marzo del ’48 per mano delle autorità jugoslave, e all’inizio del 2002 – ferita che brucia ancora di più perché inferta da chi avrebbe dovuto tutelarla – a opera del ministero degli Esteri italiano. È la storia, amara e ingloriosa, di villa Tarabocchia. Un gioiello liberty affacciato sullo squero di Lussinpiccolo costruito negli anni Venti dal capitano Eustacchio e in seguito sottratto – non una, ma appunto due volte – ai legittimi proprietari: i Luzzatto Fegiz, esponenti di una delle più prestigiose dinastie della borghesia intellettuale triestina.

Dopo la guerra, infatti, la splendida palazzina venne requisita dal regime di Tito, venduta a una cittadina croata e, infine, acquistata dalla Farnesina. Non però per restituirla alla figlia del capitano Eustacchio – Ivetta Tarabocchia, moglie di Pierpaolo Luzzatto Fegiz -, bensì per trasformarla in sede della Comunità italiana. Il tutto disattendendo gli accordi assunti, anche per iscritto, con la legittima proprietaria.

PARADOSSO «Una vicenda che ha del paradossale – tuona Alice Luzzatto Fegiz mentre, seduta sul divano di velluto della sua casa triestina in via Rossetti, mostra le foto in bianco e nero dei genitori affacciati sul terrazzo della residenza di Lussino -. Prima abbiamo pagato i debiti di guerra all’Italia con le nostre case ottenendo in cambio solo indennizzi risibili, visto che per villa Tarabocchia ci sono stati assegnati meno di 30 milioni di lire. Poi siamo stati costretti ad assistere a uno sfregio ulteriore: con i nostri soldi il ministero degli Esteri ha ricomprato dagli ”usurpatori” croati la proprietà che ci apparteneva di diritto. Oltre il danno, quindi, la beffa».

LE ORIGINI La villa contesa sorge su un terreno acquistato nel 1926 da Eustacchio Tarabocchia al prezzo di 35 mila lire. Cifra ben più modesta rispetto a quella sborsata complessivamente per costruire la palazzina: 280 mila lire. Il risultato però, come provano le foto d’epoca custodite nei ricchissimi archivi di via Rossetti, ripagò pienamente della spesa. In via degli Squeri 22 il capitano, la moglie Iva Martinoli e i figli Nino e Ivetta avevano a disposizione un molo privato, un posto al coperto per la barca, un ampio piazzale davanti all’ingresso e una decina tra saloni e stanze da letto, compresa quella degli sposi ricavata in una suggestiva torretta. «Io sono nata proprio lì, in una di quelle camere ospitate in mansarda – racconta Alice Luzzatto Fegiz -. Conservo però pochi ricordi della villa: l’ho lasciata in tenerissima età per non farvi più ritorno».

LO SCIPPO Nella casa di Lussino la famiglia Tarabocchia visse unita poco più di dieci anni. Nel 1941 morì Eustacchio e, tre anni dopo, passò a miglior vita anche Iva Martinoli. Eredi universali vennero nominati i figli della coppia: Nino, celibe e senza figli, e Ivetta, sposata con il triestino Pierpaolo Luzzatto Fegiz. Al momento della morte della mamma, quindi, Ivetta era cittadina italiana e residente a Trieste. Un particolare che ha reso ancora più traumatico e inaccettabile lo scippo consumato a guerra finita. Nel marzo ’48, infatti, la villa fu ”presa in consegna” dalle autorità jugoslave e divenne sede della Milicija, la polizia titina. E mentre la metà della casa intestata a Nino, dichiarato ”nemico del popolo” venne confiscata, la metà intestata alla sorella fu nazionalizzata. «Un’evidente violazione al Trattato di Pace – sottolinea Alice – visto che l’articolo 9 disponeva espressamente che i beni dei cittadini italiani non residenti permanentemente nei territori ceduti dovessero essere rispettati».

LA MOGLIE DEL DENTISTA Dopo l’allontanamento dei proprietari villa Tarabocchia, nel frattempo ribattezzata dal regime villa Perla, continuò a ospitare la polizia jugoslava per poi diventare negli anni Ottanta sede della Jadranka, una compagnia di navigazione statale. Poi il colpo di scena che lasciò senza fiato gli eredi. Il Comune di Lussinpiccolo, a sorpresa, vendette la palazzina a una cittadina croata. «Una certa signora Zecevizc, moglie di un dentista – continua Alice Luzzatto Fegiz -. Su quali basi giuridiche abbia potuto ottenere l’immobile, tra l’altro, è un mistero. La proprietà continuava a essere a tutti gli effetti di mia madre. Si è trattato quindi di un atto del tutto illegittimo, in virtù del quale però la signora è rimasta intestataria della casa anche dopo la dissoluzione della Jugoslavia e la nascita della Croazia».

LA FARNESINA Le speranze di Ivetta Martinoli di rientrare in possesso del bene confiscato si riaccesero solo qualche anno dopo. Nel 2001, per caso, la figlia del capitano Eustacchio venne a sapere che villa Perla era stata messa in vendita dalla ”proprietaria” croata al prezzo di 800 mila euro. A farsi avanti per l’acquisto fu l’Università popolare che, per conto del ministero degli Esteri, contattò Ivetta manifestandole l’intenzione del ministero di trasformare l’immobile in sede della Comunità italiana. «In quell’occasione mia madre firmò una scrittura privata ponendo delle precise condizioni – chiarisce la figlia -. Avrebbe rinunciato alla restituzione della villa a patto che venissero riservate a lei e ai suoi eredi, per sempre, due stanze più servizio da utilizzare per i mesi estivi. Una richiesta precisa e vincolante che il ministero, però, ha disatteso su tutta la linea». Non solo Ivetta e i suoi figli non si videro assegnare gli spazi richiesti, ma vennero addirittura tenuti all’oscuro della trattativa. Solo in seguito, e per puro caso, seppero infatti che l’affare era andato in porto e che la villa era stata acquistata dalla Farnesina per 675 mila euro.

ROMA, LA GRANDE DELUSIONE Da quel momento iniziarono gli estenuanti tentativi di Alice di ottenere udienza, e giustizia, dai rappresententi del ministero. Dalle lettere al console generale d’Italia a Fiume Pietrosanto agli incontri con i funzionari romani fino ai contatti con ex ambasciatori come il ministro Moky Onori, la figlia di Ivetta – morta nel 2007 a 94 anni – battè ogni strada per veder rispettati i diritti di famiglia. «Questi sforzi però non hanno portato ad alcun risultato. La villa è stata intestata all’Unione italiana di Fiume e data in comodato alla Comunità dei lussignani che intende ristrutturarla per insediarvi poi la sede. Ma di questa vicenda così scandalosa qualcuno deve rispondere. Non tanto in Croazia, Paese che a mio giudizio non dovrebbe entrare nell’Unione europea, quanto in Italia. Il governo – conclude amara Alice Luzzatto Fegiz che ora non esclude di intentare causa contro l’esecutivo – ha calpestato i nostri diritti e si è comportato in modo tanto irrispettoso perché, per secoli, noi italiani del Quarnero siamo stati gente pacifica. E questo è stato l’errore: avremmo dovuto fare le barricate davanti a palazzo Chigi da subito. Se ci fossimo imbottiti di tritolo sicuramente qualcuno ci avrebbe dato ascolto».

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