da www.arcipelagoadriatico.it – 22 giugno 2010
A conclusione del ciclo di incontri, abbiamo chiesto alla promotrice dell'iniziativa, Carmen Palazzolo Debianchi, l'analisi del dibattito conclusivo ed alcune riflessioni sullo stesso che crediamo importante per il futuro dell'Associazionismo e per un legame più stretto con le tematiche dell'Esodo e della conservazione delle radici. Ecco di seguito il suo testo.
Si è conclusa venerdì 14 maggio la tornata 2010 – la seconda – delle tavole di ascolto e riflessione sulla condizione dell’esule, curate da Carmen Palazzolo Debianchi nell’ambito delle attività culturali dell’Associazione delle Comunità Istriane.
Il filo conduttore delle tavole rotonde 2010 è stato il futuro, specificatamente però trattato nell’ultimo incontro da Livio Dorigo, Fabio Scropetta, Giorgio Tessarolo e Stelio Spadaro. Secondo quest’ultimo, storico e politico, poiché la radice del presente e del futuro affonda nel passato, la prima causa dei problemi di confine sta nella difficoltà di far coincidere la nazionalità, cioè l’appartenenza ad una determinata radice culturale, con l’assetto statale. Questa difficoltà ha favorito lo sviluppo del nazionalismo, cioè di un modo deteriore ed autoritario di espressione della propria nazionalità, in antitesi a quella dell’altro. I nazionalismi perdurano tuttora, con i notevoli guasti di cui abbiamo esempi anche nella formazione delle repubbliche ex-iugoslave. Egli individua nella civiltà del mare e dell’ulivo un elemento dell’Adriatico orientale storicamente unificatore delle popolazioni coinvolte, tra le quali l’italianità ha una radice molto profonda. Questo contesto spiega anche la natura dell’esodo: una grande esperienza civile ed unitaria, di dimensione pacifica e nazionale, di gente costretta a fare una scelta personale per non subire un’assimilazione.
Ma, dopo più di 60 anni dalla cessione dell’Istria, di Fiume, della Dalmazia e delle Isole del Quarnero alla Jugoslavia, di attività degli esuli, dei loro dirigenti e delle loro associazioni, Giorgio Tessarolo si pone e propone l’interrogativo di ciò che rimane ancora da fare. Il dott. Tessarolo – per esser stato fino al 2008, e per quasi 15 anni, Direttore Centrale delle Relazioni Internazionali e Comunitarie della Regione Friuli Venezia Giulia e perché discendente di esuli – conosce molto bene sia il mondo dell’esodo che la realtà transfrontaliera e delle Comunità locali e quindi – a suo giudizio – ciò che bisogna fare ora è rivitalizzare il tavolo di concertazione Governo-Associazioni degli esuli anche con l’assunzione di un piglio più deciso e meno acquiescente e arrendevole nella trattazione delle tematiche ancora aperte, come il risarcimento e/o la restituzione dei beni abbandonati ma, soprattutto, in un’ottica più globale e lungimirante, incalzare il Governo ad avviare una politica adriatica più incisiva per la conservazione di ciò che rimane della lingua e della cultura italiane nell’Adriatico Orientale. E la base per la conservazione dell’identità italiana è la scuola ma, aprire qua e là nuove scuole materne non basta se, finite queste, i bambini non hanno la possibilità di proseguire gli studi in una scuola elementare, media e superiore italiane. Il Governo Italiano deve essere dunque disponibile a spendere per far aprire scuole italiane – legalmente parificate – anche di questi ordini scolastici, cosa indispensabile per far rifiorire l’italianità innescando anche un processo imitativo in altre località, ove la presenza italiana è sotterranea come un fiume carsico, ma non morta. Nel nostro caso, oltretutto, si tratta di tutelare la sopravvivenza dell’unica comunità nazionale italiana autoctona esistente al di fuori dei confini nazionali. Se non si interviene decisamente nel senso suddetto, nell’arco di al massimo due generazioni ogni traccia di italianità sarà scomparsa dalle sponde dell’Adriatico Orientale.
Per attuare questa politica non si può che fare affidamento sui rimasti, gli unici italiani presenti in Croazia e Slovenia, nei confronti dei quali le Associazioni degli esuli devono avviare un programma di scambi, innanzitutto per la reciproca conoscenza; si tratta di due facce della stessa medaglia che vanno riunite. Dopo le sofferenze e le incomprensioni del passato bisogna intraprendere assieme un cammino per la conservazione dell’identità italiana delle nostre terre d’origine.
Molto però già si fa, come rilevano Livio Dorigo e Fabio Scopetta, rispettivamente Presidente e Vicepresidente del Circolo Istria. Il primo – dopo aver rilevato l’importanza di incontri come quello in corso, perché il confronto di opinioni e posizioni aiuta ad arrivare alla verità, a capire meglio le nostre radici, quindi a capire che il nostro passato non deve essere un vincolo ma un arricchimento che ci aiuti a trovare una prospettiva per il futuro – presenta le attività del Circolo Istria, che ha incentrato i trent’anni del suo lavoro sul territorio che va dalle foci del Timavo alla Liburnia, da Cherso al Carso, come zona che – al di là degli Stati a cui appartiene – ha le medesime caratteristiche ambientali: paesaggistiche, geologiche, vegetali, faunistiche, umane e sulla considerazione che l’uomo che ci vive non può essere preso in considerazione avulso da questo ambiente perché, “senza il suo territorio, l’uomo è nudo!”. Il Circolo suggerisce quindi proposte di recupero e sviluppo delle risorse genetiche autoctone di tutto l’Adriatico orientale in tutti i campi: agricolo, zootecnico, alimentare in uno scambio costante anche coi tecnici sloveni e croati esperti nelle diverse discipline, Ora, per dare un contributo al turismo, si sta progettando tutti assieme la ripetizione simbolica del viaggio compiuto nel 1483 da Marin Sanudo al seguito dei “Sindici Inquisitori” nella terraferma della Repubblica di Venezia, andando dalle Bocche del Timavo alle miniere dell’Arsia, a cavallo, negli antichi costumi.
La presentazione delle attività del Circolo Istria viene completata da Fabio Scropetta, che descrive le escursioni che esso organizza, due volte all’anno, nelle nostre terre d’origine. Sono state così visitate tutte le principali località dell’Istria che, con l’aiuto di competenti guide del posto, sono state esaminate sotto l’aspetto paesaggistico, storico, artistico, eno-gastronomico (con pranzi consumati in ristoranti specializzati nelle pietanze del posto), umano, prendendo contatto coi residenti sul posto e in particolare coi membri delle Comunità degli Italiani. Tutto ciò secondo l’ottica del Circolo Istria che, senza trascurare il passato, è centrata particolarmente sul presente e sui giovani e proiettata verso il futuro, perciò – secondo lui – è fondamentale una soluzione che arresti l’emorragia dalla zona dei giovani più preparati.Molto altro è emerso a queste tavole rotonde, ma una delle constatazioni più interessanti mi sembra quella che gli esuli non ragionano tutti allo stesso modo, che essi hanno tante “anime”, cioè differenti modi di pensare sulle varie problematiche dell’esodo, di cui – secondo me – bisogna prendere consapevolezza e tener conto imparando a convivere con questa diversità e ad accettarla come occasione di arricchimento e non motivo di disunione, come tuttora accade, perché ognuno ritiene che la sua idea sia giusta e sbagliata quella degli altri, mentre non si tratta di idee giuste o sbagliate ma di punti di vista diversi, ognuno dei quali merita attenzione e rispetto anche se non lo condividiamo. Questa è la democrazia, che è pluralismo, libertà di esprimere le proprie idee senza paura di ritorsioni, persecuzioni o peggio; libertà – contro l’intolleranza che ha provocato persecuzioni e infoibamenti – per la quale molti hanno dato la vita e una delle più importanti motivazioni ideologiche dell’esodo. Non dimentichiamolo!
Si è constatato che una delle cose che tuttora spaccano il nostro mondo è l’atteggiamento verso la terra natia e i rimasti; benché quelli che scelsero di rimanere come quelli che scelsero di andare – ammesso che si trattasse di libere scelte – siano quasi tutti “estinti” e i rimasti operativi siano nati dopo l’esodo e non possano essere considerati collaborazionisti o comunisti, c’è la tendenza a considerarli tali. Ciò può avere ed ha ripercussioni importanti anche nei rapporti Italia/Slovenia/Croazia. Anche in questo caso ci sono atteggiamenti di chiusura totale a cui si contrappongono quelli di apertura totale, in cui si parla – come è stato sopra descritto – semplicemente di Istriani italiani, indipendentemente dallo stato in cui risiedono, e di un territorio che va da Cherso al Carso con le medesime caratteristiche geologiche, vegetali, faunistiche al cui sviluppo lavorano assieme studiosi italiani, sloveni e croati. E fra i due estremi ci sono tutte le possibili sfumature.
Diverse, ma non meno gravi, le problematiche che hanno dovuto affrontare i rimasti nella propria casa e terra, che andava cambiando tutti i giorni nella lingua, nelle leggi, nei costumi,… E qualcuno ha finalmente avuto modo di raccontarci queste difficoltà!
Carmen Palazzolo Debianchi