di Mauro Manzin su Il Piccolo del 23 maggio 2010
TRIESTE La Jugoslavia è morta. Evviva la Jugoslavia. Tito è morto. Evviva Tito. Lo hanno gridato con forza e passione ieri, in una sorta di liturgia laica, in diecimila a Kumrovec città natale del Maresciallo, nato da madre slovena, Marija Javorsek e da padre croato, Franjo Broz il 7 maggio del 1892. Ma sotto il regime, dove Lui poteva fare questo e altro, il padre-padrone della Jugoslavia celebrava il suo genetliaco il 25 di maggio, giornata della gioventù e della felicità quando giungeva a Belgrado la mitica staffetta con la fiaccola che veniva consegnata nelle mani del conducator.
Approfittando del weekend i fans del Maresciallo hanno anticipato a ieri le celebrazioni. Sono giunti con macchine private, qualcuno a bordo della mitica ”fico”, la 600 jugoslava, e con l’ausilio di 150 pullman da tutta la ex Jugoslavia per ricordare il 118° anniversario della nascita del proprio immortale idolo. Alla festa c’era un po’ di tutto. Immancabili le bandiere jugoslave con la stella rossa, ma anche bandiere slovene, croate e scritte, tante scritte inneggianti al Maresciallo, una addirittura in italiano. Una festa di popolo, finita ad alzata di calici e immancabile grigliata di cevapcici, che ha sfidato anche un centinaio di ustascia che hanno fronteggiato minacciosi il popolo felice di Tito. Un cordone di polizia formato da 150 agenti delle truppe speciali ha evitato che i due gruppi venissero a contatto. La festa di popolo c’è stata.
La chiamano oramai jugonostalgia quel ”sentimento” che ti permette nel europeissima Lubiana di trovare sui banchetti dei souvenir, accanto all’immancabile draghetto simbolo della città, mini busti del Maresciallo (prezzo 10 euro all’uno). «Un oggetto che si vende sempre – ci dicono i gestori delle bancarelle- e ad acquistarlo non sono solo sloveni o croati ma anche stranieri. Un prodotto che va come l’acqua». Jugonostalgia che fa si che uno sparuto gruppo di paracadutisti di Corniale (Lokev), subito oltre il confine di Basovizza, sale ogni primavera sul monte Cocusso per ripulire dalle erbacce la titanica scritta Tito in pietra del carso che capeggia su tutto il versante della montagna e che mai, da vent’anni a questa parte (quando la Slovenia divenne indipendente) nessun governo si è mai sognato di imporne la rimozione.
Titomania che ha prodotto addirittua un’associazione il cui presidente, Tomislav Badovinac ha ieri solennemente dichiarato di celebrare il 65° anniversario della vittoria sul nazifascismo. Sul palco anche rappresentanti di gruppi antifascisti della Bosnia-Erzegovina, della Macedonia e della Serbia. In faccia alla rabbia degli ustascia che inveivano al grido di «Tito boia» contro i diecimila felici propugnatori dell’”ancien regime”.
Sì, perché quando c’era Lui, dicono alcuni dei partecipanti, c’era lavoro e casa per tutti. Oggi stiamo solo pagando tasse, i nostri giovani non trovano occupazione, l’Unione europea è una fregatura, dobbiamo pagare i debiti della Grecia e poi che cosa sono questi ”derivati” che fanno crollare il mondo finanziario, le Borse e aumentano la nostra povertà. Lavoro e pane: Tito era questo».
Con buona pace di quelli un po’ più ”sfortunati” che facevano talco sull’Isola calva, noto gulag degli oppositori al regime, o gli infoibati e i 350mila esuli italiani da Istria, Fiume e Dalmazia o degli oppositori del regime comunista fucilati sommariamente dai partigiani e le cui fosse comuni vengono scoperte ancora ai nostri giorni.
Per capire il significato di questa titonostalgia ricordiamo un episodio del 1991 all’indomani della proclamazione dell’indipendenza della Slovenia. Eravamo nel palazzo presidenziale a Lubiana dopo aver intervistato l’allora primo capo di Stato della Slovenia, Milan Kucan. Nelle stanze tanti quadri di Tito, ma soprattutto nel salone principale faceva ancora bella mostra di sè un grande busto del Maresciallo. «Presidente – affermammo un po’ titubanti- ma qui tutto parla ancora di Tito. «Sì – fu la risposta di Kucan – non si preoccupi daremo una ridipinta, ma le dirò, in fondo in fondo, con lui non si stava proprio così male».
Insomma, per il popolo della Jugonostalgia Tito resta il faro della stabilità, dell’antiglobalizzazione, del dualismo immarcescibile Stato-lavoro.