da Il Piccolo del 24 agosto 2010
L’autore quantifica in circa 400-500 gli italiani dell’Istria ”liquidati” nel 1943 «in uno scoppio di furia popolare, in parte spontanea, in parte manipolata da capi partigiani improvvisati», per una serie di vendette che «colpirono sicuramente anche degli innocenti e, che assunsero talvolta aspetti orribili conducendo alla sepoltura sbrigativa dei corpi nelle cavità carsiche dette foibe».
Viceversa, scrive Pirjevec, «a differenza di quanto si verificò nell’autunno del 1943 in Istria … la repressione del 1945 fu un fenomeno organizzato e pianificato. Esso rientrava nella logica totalitaria della ”purga”, non già etnica ma ideologica e politica, che nelle settimane successive avrebbe travolto nel suo vortice anche 100.000-150.000 collaborazionisti jugoslavi».
Chi scrive, nato nel 1950 a Modena che nel primo Dopoguerra fu epicentro del cosiddetto ”triangolo della morte”, sa bene con quanta violenza anche in Emilia si scatenò la furia di settori del partito comunista contro sacerdoti, possidenti, gente comune colpevole soltanto di non voler essere comunista.
Lo scrittore sloveno, citando fonti anglo-americane, stima che la ”purga” coinvolse 3.400 persone, liquidate tra Trieste, Gorizia e Pola e altre 700-800 tra Dalmazia, Istria, Fiume e isole del Quarnaro. Pirjevec ricorda anche il contesto storico in cui quegli avvenimenti maturarono e alcuni dati, la cui veridicità mi sono fatto certificare dall’Ufficio storico dell’Esercito: nella Provincia di Lubiana, infaustamente annessa all’Italia, «in 22 mesi di occupazione su 340.000 abitanti, 25.000 furono internati e 13.000 uccisi. Un cittadino su 5 finì in carcere, il 3,8% della popolazione venne assassinata»: purtroppo vero è anche l’episodio del villaggio di Podhum, nella provincia del Carnaro, – Fiume – completamente distrutto dalle camicie nere (108 ostaggi fucilati e 800 deportati) per vendicare l’uccisione di due maestri elementari.
Secondo Pirjevec, nella stessa Istria, durante la lotta di liberazione, 4.285 persone persero la vita per mano dei tedeschi e dei loro alleati, mentre nei campi di concentramento furono inviate 21.509 persone.
In che misura questi fatti influirono sulle tragiche vicende del Dopoguerra è discutibile, ma di certo non possono essere ignorate per la loro gravità. È tutto condivisibile pertanto il libro dell’accademico sloveno? Certamente no, per alcune interpretazioni storiche totalmente infondate e insistenza su particolari secondari che rischiano di far perdere di vista il nocciolo della questione.
Esempio del primo tipo è la fantasiosa ricostruzione della liquidazione degli uomini della ”Osoppo”, bollati come doppiogiochisti o addirittura pronti a unirsi ai tedeschi, e del secondo la lunghissima minuziosa ricostruzione della storia del pozzo minerario di Basovizza che non si capisce cosa voglia dimostrare, nel momento in cui lo stesso autore scrive che l’indagine del comune di Capodistria condotta nel 1990 su 10 grotte carsiche sulle 116 esistenti nell’area ha portato al recupero dei resti di ben 130 persone.
Del tutto inaccettabile è poi l’interpretazione che Pierjevec, sposando le tesi dei vetero-comunisti, dà delle iniziative del Parlamento italiano in ordine al Giorno della memoria e della possibilità di acquisire la cittadinanza italiana, varate con spirito totalmente diverso da quello che si vuol fare credere.
Ma su questo e altri aspetti del libro si può aprire un confronto che finalmente porti a superare, sulle solide fondamenta di realtà storiche accertate, le tragedie e le follie del Novecento.
Carlo Giovanardi
sottosegretario alla Presidenza del Consiglio