di Stefano Lusa su www.balcanicaucaso.org
Alla vigilia del Giorno del ricordo, l'incontro tra il presidente italiano Giorgio Napolitano e l'omologo sloveno Danilo Türk, avvenuto il 17 gennaio a Roma, si è svolto in un clima di concordia e volontà di dialogo. Nonostante ci sia ancora molto da fare, Lubiana e Roma avanzano lungo la riconciliazione
La bandiera slovena che sventola accanto a quella italiana sul Quirinale è stata una delle immagini simbolo della prima visita di stato di un presidente sloveno all’Italia. Da quando la Slovenia è indipendente mai si era registrato un incontro a così alto livello.
Rigoroso cerimoniale, corazzieri in alta uniforme, corona deposta dal presidente sloveno sulla tomba del milite ignoto all’altare della Patria, traffico bloccato per un’ora in una delle zone del centro di Roma per far spazio ai riti di prammatica. Nei classici discorsi le valutazioni dei due capi di stato sono sembrate scontate: giudicati ottimi i rapporti bilaterali ed espresso appoggio all’ingresso della Croazia nell’Unione europea. Quello che è emerso dall'incontro è stata un’estrema sintonia ed anche una certa simpatia tra i due.
I pregressi
E dire che i primi approcci tra il presidente sloveno, Danilo Türk e quello italiano Giorgio Napolitano non facevano presagire nulla di buono. Nel 2009, alla vigilia della Giornata del ricordo, il capo dello stato sloveno, aveva bocciato l’ipotesi di un eventuale gesto di riconciliazione visto che, a suo avviso, l’Italia non aveva fatto ancora i conti sino in fondo con il fascismo.
In Slovenia e Croazia erano ancora vive le polemiche suscitate dal discorso del presidente italiano in occasione della Giornata del ricordo del 2007 . All’epoca Napolitano aveva parlato senza mezzi termini di “pulizia etnica” riferendosi a quanto accaduto nell’immediato dopoguerra nelle zone controllate dalle truppe jugoslave.
A breve distanza dalla presa di posizione di Türk, però, proprio nel corso delle celebrazioni per la Giornata del ricordo del 2009 il presidente italiano non fece sconti alle responsabilità del fascismo e alle sofferenze inferte alla minoranza slovena. Era quello che a Lubiana volevano sentire da anni.
In Slovenia, infatti, si andava ripetendo che c’era una precisa cronologia dei fatti e che per spiegare le sanguinose vicende del confine orientale non si poteva partire dall’8 settembre 1943, cioè dal crollo dell’Italia fascista e dalla progressiva presa di controllo del movimento partigiano jugoslavo su gran parte di quella che era la Venezia Giulia.
All’epoca Türk espresse soddisfazione, non disse nulla sulle sofferenze patite dagli italiani nell’immediato dopoguerra, ma in pratica sembrò non avere granché da eccepire sulla versione fornita da Napolitano, che nel suo discorso aveva ancora una volta toccato la questione delle esecuzioni sommarie e del senso di sradicamento che dovettero subire gli esuli che abbandonarono le zone che passarono alla Jugoslavia.
Il concerto di Muti come gesto di riconciliazione
Da quel momento l’ipotesi di un gesto di riconciliazione tra Slovenia e Croazia si fece più concreto, tanto da arrivare a compimento, quasi per caso, nel luglio dello scorso anno. L’occasione è stata il Concerto della pace promosso dal maestro Riccardo Muti, che doveva far tappa a Trieste. L’idea era quella di far partecipare all’evento i presidenti di Italia, Slovenia e Croazia.
Del tutto casualmente la data scelta coincideva con il 90° anniversario dell’incendio del “Narodni dom”, il simbolo della presenza slovena e croata a Trieste, preso d’assalto dai fascisti. Per il presidente sloveno quindi sarebbe stato impossibile venire nel capoluogo giuliano senza andare a rendere omaggio a quel luogo. Per il capo dello stato italiano invece sarebbe stato impossibile accompagnare il collega sloveno al “Narodni dom” se non si fossero ricordate anche le sofferenze che le truppe di Tito inflissero agli italiani.
A quel punto era chiarissimo che se gli esponenti della minoranza slovena o quelli degli esuli avessero avuto l’interesse di far saltare l’incontro avrebbero potuto facilmente raggiungere l’obiettivo con una serie di veti incrociati, invece hanno deciso di lavorare assieme per trovare una soluzione.
All’epoca si misero all’opera l’ex sottosegretario del governo Prodi, Miloš Budin e l’ex senatore Lucio Toth. I due, esponenti di spicco rispettivamente della minoranza slovena e del variegato mondo degli esuli, del resto, avevano cominciato a dialogare da tempo ed avevano anche dimostrato di avere molta sintonia. L’idea fu quella che i tre presidenti, dopo aver reso omaggio al “Narodni dom”, deponessero una corona anche al monumento dedicato all’esodo.
La soluzione, che fece storcere il naso a più di qualcuno sia dall’una sia dall’altra parte, ha poi consentito ai tre i presidenti di assistere al concerto di Riccardo Muti, iniziato con gli inni di Slovenia, Croazia ed Italia, in un clima di concordia e di volontà di dialogo impensabile fino a qualche settimana prima a Trieste.
Non a caso nel loro incontro romano i capi di stato di Slovenia e Italia hanno parlato dello “spirito di Trieste” e proprio per coronare questo spirito, probabilmente, il presidente sloveno ha voluto invitare a colloquio Lucio Toth. È la prima volta che un esponente degli esuli viene ricevuto da una così alta carica dello stato sloveno. Tra i due un dialogo cordiale, per discutere di collaborazione, delle aspettative degli esuli, ma anche per riconoscere il ruolo dialogante svolto da Toth e dall’associazione che rappresenta.
Del resto un incontro tra un presidente sloveno e un esponente del mondo degli esuli sarebbe stato impensabile fino a solo pochi mesi fa. Ad ogni modo appare evidente che si stia lavorando per chiudere i conti con il passato senza “dimenticare nulla”, ma soprattutto per guardare al futuro.
Per dirla con le parole di Enzo Bettiza – un grande vecchio del giornalismo italiano, ma anche esule spalatino – questo primo soggiorno a Roma di Türk “segna emblematicamente, sotto molti aspetti, la chiusura postuma e definitiva di poco meno o poco più di mezzo secolo di storia. Storia tragica, a momenti truculenta, in un’altalena di aggressioni e ritorsioni reciproche con connotati ideologici e razziali sempre più disumani”.
Un incontro, quello tra i due presidenti, avvenuto alla vigilia di due importanti ricorrenze, l’ennesima celebrazione della Giornata del ricordo, su cui potrebbe aleggiare lo “spirito di Trieste” ed il decennale dell’approvazione della legge di tutela della minoranza slovena. Una minoranza questa definita da Napolitano la più importante d’Italia.
Ancora molto da fare tra Italia e Slovenia
Al di là dei presidenti, però, i problemi da risolvere tra Slovenia ed Italia sono ancora molti. Ad onor del vero dal 1998, momento dello sblocco da parte di Roma del processo di avvicinamento di Lubiana all’Unione europea, non si sono fatti molti progressi nella soluzione delle questioni bilaterali.
Il passato tra i due paesi continua a pesare. La Slovenia sta ancora attendendo che l’Italia ritiri la cifra versata a titolo d’indennizzo per i beni abbandonati dagli esuli nella zona B. Lubiana vorrebbe inoltre che le opere d’arte e gli archivi spostati, durante la Seconda guerra mondiale, dai territori passati alla Slovenia in Italia ritornassero nelle sedi originarie. Quest’ultima questione è stata sollevata con molta discrezione dal presidente sloveno durante l’incontro con Napolitano.
Rimangono aperti poi i problemi delle rispettive minoranze, un argomento che sicuramente sta più a cuore a Lubiana che a Roma. La Slovenia vorrebbe finanziamenti più sicuri per la comunità slovena, visto che di anno in anno i soldi arrivano con emendamenti dell’ultimo minuto al bilancio, dopo tagli che rischierebbero di mettere a repentaglio il funzionamento delle organizzazioni della minoranza slovena in Italia.
Tra le recenti polemiche tra i due paesi rimane da risolvere la questione dei rigassificatori che l’Italia vorrebbe costruire nel golfo di Trieste a cui la Slovenia si oppone “per questioni d’impatto ambientale”. Ci sono poi i piani di sviluppo del porto di Capodistria che Roma sta prendendo in esame e i problemi legati alla costruzione del corridoio europeo numero 5. A questo punto non rimane che attendere per vedere se lo “spirito di Trieste” creato dai due presidenti riuscirà a coinvolgere anche i governi e l’opinione pubblica dei due paesi.