In una lettera al direttore di "Nuova Alabarda", pubblicata dall'Anpi di Catania, Claudia Cernigoi propone la "difesa" dei cosiddetti "negazionisti". Ve la proponiamo perché è sempre utile conoscere gli argomenti di chi, secondo il nostro punto di vista, si trova al di fuori di ogni logica di approfondimento storico e di obiettiva visione della realtà. E la più volte citata ANVGD sta a dimostrare quanto sia efficace, nel tempo, l'azione della nostra Associazione e dei nostri rappresentanti, presi di mira più di chiunque altro a conferma -se ce ne fosse ulteriore bisogno- del reale valore della nostra attività di contrasto a tutti i livelli.
È da un po’ di tempo che gli studiosi Claudia Cernigoi (che scrive), Sandi Volk ed Alessandra Kersevan (che è anche titolare della casa editrice Kappa Vu di Udine) sono accusati di essere dei “negazionisti delle foibe”, dove va considerato che il termine di “negazionista” è genericamente usato, in ambito storico, per definire in senso negativo gli studiosi ed i propagandisti che cercano di dimostrare che non vi fu una politica di sterminio nazista nei confronti del popolo ebraico. Con questa similitudine si cerca pertanto di paragonare la nostra attività di ricerca storica a quella di altre persone che nulla di scientifico in ambito storico hanno prodotto ma si limitano ad arrampicarsi sugli specchi per dimostrare una propria teoria.
Dopo la pubblicazione di “Foibe. Una storia italiana” per i tipi della Einaudi, anche lo storico triestino professor Jože Pirjevec è stato oggetto di questo tipo di attacchi; in un articolo pubblicato sulla “Stampa” del 4 febbraio scorso è stato definito “seminegazionista”, mentre in un altro articolo comparso sul rotocalco “Oggi” del 10 febbraio l’autore Mauro Suttora afferma: “Se Jože Pirjevec, storico dell’università di Capodistria (Slovenia), avesse pubblicato il suo libro in Austria, avrebbe rischiato il carcere. Com’è capitato a David Irving, il professore inglese condannato a tre anni nel 2006 per avere negato l’Olocausto degli ebrei”. Questo perché “Pirjevec nega che l’eccidio delle foibe possa essere definito «genocidio». A suo avviso non ci fu un massacro premeditato, ma solo sporadici episodi, peraltro giustificati dall’odio anti-italiano attizzato dai fascisti negli anni precedenti. Il perfetto «negazionista», insomma”.
Ecco un esempio emblematico di come questa terminologia venga usata al mero scopo di screditare i nostri studi senza entrare nel merito se essi siano o no attendibili, ma semplicemente dando per assodato in senso del tutto fideistico che tutto quello che è stato detto o scritto prima delle nostre ricerche è verità conclamata, a prescindere se la documentazione esistente dia o non dia ragione a noi. Così ci troviamo di fronte ad una schiera di “affermazionisti” che, pur in assenza di studi seri in materia, hanno deciso che sono attendibili i Papo, i Rocchi, i Pirina, e di conseguenza chi osa portare documentazione in grado di dimostrare che la verità storica è un’altra diventa automaticamente un “negazionista”, alla stregua di David Irving, nonostante i nostri studi siano basati su documenti che dovrebbero dimostrare, ad un lettore privo di preconcetti, che non siamo noi a negare la verità storica ma altri. Pirjevec, quindi è un “perfetto negazionista” perché ha fatto un’analisi storica che va a cozzare contro la vulgata del “genocidio” anti-italiano: e se i fatti storici dimostrano che la sua è un’analisi corretta e sono coloro che parlano di “genocidio” ad avere torto, ciò non importa agli “affermazionisti”, che addirittura vanno ad ipotizzare la galera per chi osa mettere in dubbio quella che io non esito a definire la “mitologia” delle foibe.
Citeremo ora una serie di esempi che rappresentano solo la punta dell’iceberg di quanto è apparso in rete e sulla stampa negli ultimi anni, a dimostrazione che da parte delle svariate associazioni che fanno riferimento all’arcipelago irredentista e nazionalista (Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Lega nazionale, Associazione amici e discendenti degli esuli giuliani, istriani, fiumani e dalmati, Unione degli Istriani) è in atto una sorta di “disegno” che, partendo dal presupposto “affermazionista” che abbiamo descritto prima, vuole impedire di parlare e rendere noti i propri studi a tutti coloro che non concordano con questa propaganda, definendoli “negazionisti”, paragonati ed equiparati ai negazionisti della Shoah e quindi criminalizzati come tali. Già nel 2008 l’ANVGD in un comunicato pretendeva addirittura (non si comprende a quale titolo, visto che non si tratta di un Istituto storico né di un Ente pubblico) di esercitare un controllo su quanto viene detto nel Giorno del ricordo e su chi ne parla.
Un precursore di questa campagna contro i “negazionisti” può essere individuato nell’esponente della Lega Nazionale di Trieste, avvocato Paolo Sardos Albertini che già otto anni fa sosteneva, in una lettera pubblicata su “Trieste Oggi” (16/5/02) che “certi personaggi che si ammantano del titolo di storici” come Claudia Cernigoi e Sandi Volk “negano la tragedia delle foibe” così come “i loro colleghi europei negano la tragedia dei campi di sterminio”; e l’avvocato conclude “auspicando” che come avviene in altri paesi d’Europa anche in Italia “qualche magistrato sia intenzionato ad indagare se questi nostri locali negazionisti rientrino o meno nell’ipotesi del reato di incitamento all’odio etnico e razziale”. Essendo fatta da un avvocato questa affermazione ci pare assumere una valenza particolare.
Il 12/2/05 usciva sul “Giornale” un articolo firmato da Renzo Foa il quale sosteneva che in Italia “se c’è un fenomeno di negazionismo” è “quello che riguarda le foibe”, precisando che questo “negazionismo” si “fa sentire, non solleva scandalo e spesso non incontra contestazioni, mentre a Robert Faurisson e a David Irving, noti per aver cercato di dimostrare che la Shoah non è esistita, molte volte non è stato nemmeno consentito di parlare”. E cita come esempio scandaloso il fatto che a Perugia “sia stata invitata a parlare una persona, la professoressa Alessandra Kersevan, convinta appartenente ad una scuola negazionista”, senza che fosse previsto alcun contraddittorio.
Come se ogni volta che uno storico parla fosse necessario mettergli di fronte qualcuno per contestare le sue affermazioni? Oppure per instillare l’idea che se l’istituzione non ha previsto un contraddittorio è il caso di andare e fare?
Nel 2007 il sito della Lega Nazionale pubblicizzava il libro di Giorgio Rustia (che negli anni aveva messo in piedi una vera e propria campagna contro di me ed i miei studi) “Controoperazione foibe”, disponibile in formato PDF, come “la risposta completa e dettagliata a tutte le teorie negazioniste e di sedicenti storici e trinariciuti divulgatori che imperversano su internet, nelle librerie, ai convegni e nelle scuole”. Senza commenti.
Nella stessa pagina si poteva leggere un articolo di Enrico Neami (Unione degli istriani) dal titolo “Emergenza negazionismo” nel quale l’autore prende spunto da un saggio di Valentina Pisanty dedicato al negazionismo dei campi di sterminio nazisti per applicare a noi (senza fare espressamente i nostri nomi ma riferendosi al convegno di Ancona al quale avevamo partecipato, tra gli altri, Sandi Volk e la sottoscritta) per dimostrare che il nostro modo di fare storia è lo stesso di studiosi come Irving e Nolte. Interessante però che i passi citati possono piuttosto adattarsi a quanto sostengono da anni gli “affermazionisti” in materia di foibe: “focalizzare l’attenzione del lettore su aspetti specifici e particolari allontanandosi dal quadro generale per decontestualizzare un dato fenomeno storico ritenuto scomodo (…) l’utilizzo spregiudicato di singoli documenti sconnessi da ogni vincolo archivistico o di contesto, il mascheramento del reale fine ideologico che sta alla base della tesi” .
Tante cose si possono dire dei nostri studi, ma non che ci siamo allontanati dal quadro generale, né che i documenti citati siano “sconnessi” da qualsivoglia vincolo, al contrario di quanto si legge nei siti della Lega nazionale o dell’ANVGD, mentre è invece tipico della produzione degli “affermazionisti” (basti pensare ai testi di Pirina, di Papo, di padre Rocchi) limitarsi ad affermare che una determinata cosa è accaduta senza portare nulla a comprova di quanto affermato. Emblematica in questo la vicenda di Norma Cossetto, della quale si sa, da documenti ufficiali, soltanto che il suo corpo è stato recuperato da una foiba. Le torture e le mutilazioni cui sarebbe stata sottoposta e di cui si legge con dovizia di particolari, indulgendo, a parere mio, in inutile e morboso sadismo, sono frutto di affermazioni non suffragate da fatti, ma semplicemente ripetute pedissequamente dall’uno e dall’altro autore. Però, di fronte al fatto che la sottoscritta a suo tempo osservò che esistevano due diverse versioni dello stato in cui fu trovato il corpo della giovane donna (citando peraltro in questo le stesse “fonti” cui dovrebbero essersi ispirati anche coloro che mi contestarono, cioè Papo e padre Rocchi), si scatenò contro di me una canea sulla stampa locale ed ancora oggi sono accusata di avere mancato di rispetto ad una martire.
Segnalo inoltre che nel 2007 l’ADES promosse una petizione on line per impedirmi di parlare ad un convegno presso l’Università di Ancona.
Nel febbraio 2008 Kersevan è andata a La Spezia a presentare il mio libro “Operazione foibe tra storia e mito”, ed un articolo pubblicato sul blog di Miradouro evidenzia il lato grottesco di questa campagna disinformativa. Infatti vi si evidenzia lo “strabuzzamento di occhi” di Marco Pirina quando sente che Alessandra Kersevan è stata invitata a parlare di foibe: si dà quindi per scontato che Pirina è un ricercatore serio al contrario di Kersevan. Peccato che proprio grazie agli studi condotti dalla sottoscritta collaborando con Alessandra Kersevan Marco Pirina è stato costretto a ritirare uno dei suoi libri (Genocidio… del 1995) ed è stato anche condannato in via definitiva dalla sezione civile della Cassazione a risarcire tre persone che erano state diffamate in questo suo libro.
Sempre nel 2008 si è svolto un convegno sulla storia del confine orientale, i cui atti sono stati raccolti in un volume edito dalla Kappa Vu col titolo “Foibe. Amnesie della repubblica”. Nel settembre scorso, in occasione della presentazione del testo, il responsabile dell’ANVGD di Gorizia, Rodolfo Ziberna ha scritto una lettera nella quale si dilunga in affermazioni del tutto fuori luogo ed apprezzamenti insultanti nei confronti della sottoscritta e di Alessandra Kersevan, a partire dal titolo (“Kersevan e Cernigoj uccidono di nuovo gli infoibati”), per proseguire con l’affermazione che “Kersevan e Cernigoj per ragioni di natura partitica o di esigenza di visibilità cercano di minimizzare il dramma delle foibe” (non essendo noi iscritte ad alcun partito l’affermazione è del tutto stonata, ma è curioso che proprio un esponente dell’ANVGD restituisca in grafia slovena il mio cognome italianizzato).
Recentemente l’ANVGD ha inserito nel sito un nuovo articolo in cui afferma che “segue e denuncia con attenzione l’evolversi del marginale movimento negazionista nel nostro Paese sulle Foibe e sull’Esodo giuliano-dalmata” e che “Alessandra Kersevan, capofila, con Sandi Volk e Claudia Cernigoi di questo ribaltamento storico nella cui rete cadono ignoranti e ideologizzati”. L’articolo è corredato da ben due fotografie (uguali) con la seguente didascalia: “(il trio -da sinistra- Volk, Kersevan e Cernigoi, guide morali dei negazionisti, in una rara immagine di qualche anno fa)”.
A prescindere dal fatto che la foto è tratta dal sito del Primorski Dnevnik ed è stata scattata nel corso dell’iniziativa del settembre precedente, il tono sembra voler sottendere da un lato che il “trio” è restio a farsi fotografare, quasi vivessimo in semiclandestinità, e dall’altro sembra additarci ai lettori, casomai qualcuno avesse piacere di conoscere le nostre fattezze.
A lato di questa manovra di criminalizzazione (si cerca di farci passare come “negazionisti” in attesa che anche in Italia il “negazionismo” diventi reato?) alla Commissione cultura della Camera, l’onorevole Paola Frassinetti (PdL) ha proposto una risoluzione “per cercare di arginare il fatto deplorevole che alcune associazioni si recano nelle scuole per raccontare una visione dei tragici fatti delle foibe in maniera totalmente travisata” e “rileva che il recente libro dello sloveno Pirjevec, edito da Einaudi, e distribuito nelle scuole di Torino, esprime giudizi gravi sugli avvenimenti storici riferiti alle foibe, non corrispondenti alla verità; esistono, infatti, negazionisti della vicenda, come ha anche ricordato lo stesso sindaco di Roma nel corso delle commemorazioni in occasione di questa giornata”.
Notiamo anche qui come il professor Pirjevec, cittadino ed accademico italiano, viene sbrigativamente definito “lo sloveno”: forse per cercare di sminuirne la serietà di studioso?
In base a questi presupposti il testo finale della risoluzione afferma che la giornata del 10 febbraio “è dedicata alla celebrazione ed alla memoria della complessa vicenda del confine orientale e, all\’interno di questa, del martirio degli italiani infoibati, del loro assassinio di massa organizzato dalle bande comuniste del maresciallo Tito, raccapricciante segno di una pulizia etnica che fu attuata in terre teatro di uno storico e tragico scontro di nazionalismi e che durò fino al 1948, provocando l\’esilio forzato di 350mila italiani dall\’Istria, da Fiume e da tutta la Dalmazia” e che “il martirio non fu risparmiato né alle donne né ai bambini, né ai vecchi né ai sacerdoti, la cui sola colpa era quella di essere italiani” Stante che il testo della legge istitutiva del Giorno del ricordo (n. 92 del 30 marzo 2004) non si esprime in questi termini, ci troviamo evidentemente di fronte ad una forzatura dello spirito e dello scopo con cui il legislatore ha ritenuto di operare, forzatura causata dal travisamento della lettura dei fatti storici. Nei nostri testi infatti abbiamo più volte evidenziato – documenti alla mano – che non si trattò di pulizia etnica né di assassinio di massa, che nessun bambino fu “infoibato”, che le donne erano una percentuale relativamente bassa, i sacerdoti pochissimi, le vittime non erano tutte di etnia italiana ed infine che non esistevano “bande comuniste del maresciallo Tito” ma si trattava di un esercito regolare facente parte a tutti gli effetti della coalizione alleate contro le forze dell’Asse.
Tale risoluzione, viste le premesse, sembra essere stata ideata essenzialmente allo scopo di impedire di parlare a storici come noi, a prescindere se le nostre ricerche abbiano o no valore scientifico, ma semplicemente per il fatto che diciamo cose diverse da quelle che la propaganda pretende vengano accettate acriticamente.
Noi non accettiamo questa manovra di criminalizzazione nei nostri confronti, noi abbiamo sempre operato le nostre ricerche nella maniera più corretta, abbiamo esplorato archivi, cercato ed analizzato documenti, intervistato testimoni, verificato l’attendibilità delle cose che intendevamo pubblicare, e abbiamo sempre precisato quando rendevamo pubblici dati con beneficio d’inventario se non avevamo trovato conferme sufficienti. E non possiamo accettare che siano associazioni di propaganda ad accusare noi di essere propagandisti, né che siano gli stessi che hanno per decenni diffuso notizie false o comunque non veritiere, a sostenere che siamo dei “negazionisti” cui dovrebbe essere impedito di parlare o addirittura dovremmo essere messi fuori legge ed incarcerati. Noi rivendichiamo il nostro diritto a lavorare alla luce del sole e, dato che abbiamo sempre agito con correttezza, anche di essere rispettati per quanto facciamo: è chiedere troppo ad una società civile?
Claudia Cernigoi