Riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera di Igino Bertoldi, nato a Tavagnacco (UD) nel 1926. È stato partigiano, o meglio come scrive lui: patriota. Nomi di battaglia: Ercole, Bogomiro, o Ragamir. Già Volontario della libertà, verso il 1948 è stato uno dei Volontari Difesa Confini Italiani VIII (VDCI-VIII). Al Bosco Romagno, in Comune di Cividale del Friuli (UD), il 21 giugno 2015, ha ricevuto, assieme ad altri partigiani osovani superstiti, la medaglia appositamente coniata dal Governo a ricordo del settantesimo anniversario della Liberazione. Si ricorda che le Brigate Osoppo-Friuli furono formazioni partigiane autonome fondate presso la sede del Seminario Arcivescovile di Udine, il 24 dicembre 1943, su iniziativa di volontari di ispirazione laica, socialista e cattolica. I partigiani osovani furono spesso contrastati dai partigiani comunisti delle Brigate Garibaldi. Il culmine delle ostilità fu l’ecidio di Porzûs, del 7 febbraio 1945, quando un centinaio di gappisti comunisti filo-titini fucilò, o uccise barbaramente, diciassette partigiani (tra cui una donna, loro ex prigioniera) delle Brigate Osoppo. La redazione del blog riproduce l’intervento scritto di Igino Bertoldi, senza apportare alcuna modifica. In parentesi riquadrate ci sono delle brevi spiegazioni. L’autore polemizza con certi “professori” che scrivono dei fatti di Porzûs a sfondo ideologico, persino in forma romanzata, senza aver vissuto quei tragici momenti ma, soprattutto, tirando l’acqua al proprio mulino (a cura di Elio Varutti).
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Sono andato a sfogliare il vocabolario Zingarelli per verificare l’esatto significato dei due termini. Patriota: chi ama la patria e lo dimostra lottando e sacrificandosi per essa. Partigiano: fautore, seguace o difensore di una parte o di un partito.
Nella grande confusione di stampa e manifestazioni, grandi interventi, grandi discorsi per dimenticare la verità dei fatti che noi combattenti osovani abbiamo dovuto sostenere. Non mi rincresce rivangare la storia che ci ha coinvolti.
Bandiere rosse, berretti con la stella rossa (di Tito), camice rosse… viste a Udine! questa la piazza del 25 aprile! Non si parla di foibe, semmai si negano, non si parla di Porzûs, semmai lo si riduce a uno scontro fra fazioni avversarie!
Ma poi quelli “nati dopo” gli eventi e che la storia l’hanno vista sui giornali o sui libri di parte dicono: “Dobbiamo parlare di più con i giovani e raccontare loro i valori della storia”.
Ma di che storia, questi “nati dopo”, possono parlare ai giovani? Possono parlare per sentito dire o per aver letto notizie di una parte, o di partiti sulla carta stampata. Partigiani, secondo il vocabolario Zingarelli!
Noi, invece, testimoni dei fatti, fortunatamente ancora viventi, patrioti, siamo qui a testimoniare ciò che abbiamo vissuto sulla nostra pelle e ci sentiamo preoccupati del fatto che questi “nati dopo” vogliano raccontare ai giovani una storia che noi abbiamo fatto e che loro, senza alcun merito e soprattutto senza alcuna cognizione di causa vogliono tramandare come verità.
Noi non possiamo dimenticare le grida di dolore degli abitanti di Nimis, Faedis, Attimis e Barcis, paesi bruciati per rappresaglia agli atti di qualcuno che aveva gli obiettivi da raggiungere, incurante delle sofferenze della povera gente!
Non possiamo e non vogliamo dimenticare il terrore di quelle persone che si sono trovate nella lista che i “Compagni” dovevano eliminare perché non la pensavano come loro! Il mio nome e quello di mio padre era su quella lista!
Erano tre le dittature nel conflitto: due vennero sconfitte, la terza risultò vincitrice e, in seguito, si persero i territori della Dalmazia e dell’Istria. i comunisti locali si fecero forti della vittoria. A noi non rimanevano che due scelte: o lasciarsi sottomettere o reagire. Con l’aiuto degli alleati abbiamo reagito non accettando la nuova dittatura, mettendo a repentaglio la nostra vita.
Diversi gruppi minacciavano i nostri territori e noi osovani: i fascisti, i “Diavoli Rossi”, il IX Corpus di Tito e i GAP, la Garibaldi e il Partito Comunista: dico a voi che andate sulle piazze alzando la voce come nuovi profeti depositari della verità, ma la realtà era quella.
Chi furono i veri resistenti? Noi Volontari della Libertà che abbiamo penato fino al ’48 quando con elezioni libere vinse la democrazia. Però restava ancora un problema: non c’era esercito italiano in Friuli e noi ragazzi ci siamo offerti come volontari per la difesa dei confini orientali d’Italia. Il comunismo forte si era già impadronito della Slovenia, Dalmazia, Istria e il Friuli era molto appetibile.
Il sangue dei nostri martiri ci spronò e con grande forza abbiamo resistito. Fermi sulla linea del fuoco. Con noi anche ufficiali e alpini della Divisione Julia. Una verità storica che però i “Compagni” hanno cercato di nascondere con ogni mezzo.
Nel ’54 l’esercito italiano era pronto ad entrare a Trieste e gli alleati ci aiutarono a costituire la “Gladio”, sentinella fra i due blocchi. Vorrei rammentare al professore l’incontro di Campoformido: dopo due ore di lezione, per dimostrare le falsità su Porzûs con pochissime parole del mio intervento è fuggito andando a nascondersi in mezzo ai suoi compagni del pubblico.
Porzûs era un avamposto di confine tenuto da patrioti osovani, comandato da un ex ufficiale degli alpini del Battaglione Tirano, Francesco De Gregori, con lo scopo di impedire a Tito di impadronirsi del nostro Friuli. Ora ho visto di nuovo il professore, non più con filmati ma con libri romanzati e trattati filosofici per coprire la verità: il sangue e il valore dei nostri martiri non si tocca. A proposito della Turchetti [Elda], splendida ragazza uccisa nell’eccidio di Porzûs, a Povoletto l’hai decantata, professore. In realtà fu usata come una doppia esca. La prima: ai gappisti risultava essere una spia tedesca, “ve la portiamo a giudicare”, così salirono e controllarono il posto. Pochi giorni dopo fecero il colpo. La seconda: “siamo saliti a fare giustizia perché avevate una spia tedesca”. Esecuzione a sangue freddo. 120 gappisti contro 20 osovani. Ecco caro professore come si sono svolti i fatti!
Pasolini [Guido], uno dei martiri di Porzûs, al Bosco Romagno: due giorni sotto i cadaveri dei compagni denudati e uccisi a randellate perché non si dovevano riconoscere i corpi, né sentire i colpi delle armi da fuoco nel vicino abitato. Pensavano di averlo colpito a morte, ma rinvenne e fuggì. Venne ritrovato ai Quattroventi [frazione di Corno di Rosazzo, UD]. In questo luogo una signora lo accompagnò, credendo di fare del bene, proprio in mano ai “Compagni” gappisti che lo uccisero con un colpo di piccone, dopo avergli fatto scavare la fossa!
Ecco professore, la storia che lei vuole romanzare è un racconto non di uomini, ma di belve feroci. Ecco perché non possiamo parlare né di perdono, né di riconciliazione. Se lei avesse letto di Tarcisio Petracco, edito da Ribis e anche “Il ribelle” del professor Nilo D’Osualdo edito da Gaspari, forse non sarebbe ricaduto in simili leggerezze. Tarcisio Petracco e Nilo D’Osualdo erano mei compagni d’arme: la nostra divisa era il cappello alpino e il fazzoletto verde, in battaglia non portavamo bandiere rosse o bandiere con la stella rossa, ma portavamo il tricolore italiano: eravamo patrioti osovani!
Cavaliere Igino Bertoldi. Nome di battaglia “Ercole”
Progetto e ricerca di Elio Varutti, Docente di “Sociologia del ricordo. Esodo giuliano dalmata” – Università della Terza Età (UTE), Udine. Networking a cura Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Lettori: Marco Birin. Adesioni al progetto: Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine.
Fonte: Elio Varutti – 02/06/2023