Il 25 luglio 1943 il Gran Consiglio del Fascismo esautorava Benito Mussolini, il quale poche ore dopo, avendo rassegnato le dimissioni da Presidente del Consiglio dei Ministri al Re Vittorio Emanuele III, venne arrestato. Il nuovo governo aveva a capo il Generale Pietro Badoglio, le istituzioni del regime fascista si dissolsero senza colpo ferire e manifestazioni di piazza salutarono la fine della dittatura, dopo che, soprattutto in quelli che lo storico Renzo De Felice definì “gli anni del consenso”, il Duce era stato acclamato dalla stragrande maggioranza degli italiani. Non furono tanto le misure liberticide adottate dall’autoritarismo mussoliniano quanto le disfatte subite sui fronti della Seconda guerra mondiale che minarono la stabilità del governo fascista, tanto più che il conflitto era ormai giunto sul territorio metropolitano con lo sbarco alleato in Sicilia ed i bombardamenti che sempre più pesantemente devastavano le città italiane.
Badoglio rassicurò l’alleato tedesco in merito alla prosecuzione del conflitto da parte delle truppe italiane, ma erano già avviate le trattative con gli anglo-americani che avrebbero condotto all’armistizio dell’8 settembre ed al successivo collasso politico, militare ed istituzionale del Regno d’Italia, con conseguenze che nelle province del confine orientale italiano sarebbero state particolarmente cruente, poichè si sarebbe compiuta la prima ondata di stragi nelle foibe compiute dai partigiani comunisti jugoslavi di Tito (circa un migliaio le vittime).
Su questo repentino crollo del fascismo lo storico Gianni Oliva ha recentemente dato alle stampe “45 milioni di antifascisti. Il voltafaccia di una nazione che non ha fatto i conti con il ventennio” (Mondadori, Milano 2024), volume che ha presentato in una videoconferenza organizzata dal Comitato provinciale di Milano dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. [LS]