La propaganda dell’ANPI volta a minimizzare il dramma delle foibe, volendo addirittura giungere a giustificarle prosegue con la presentazione a Gorizia del libro di Joze Pirjevec «Foibe. Una storia d'Italia», nonostante le condanne morali ricevute dagli storici di ogni parte politica. Ma del resto lo scopo dell’ANPI non è certo quello di fare storia, ma quello di usare ancora il dramma delle Foibe come strumento di lotta politica.
Il prof. Pirjevec nell’occuparsi di «Foibe» ripete le solite cose. Le «Foibe» sono solo una reazione alla violenza fascista. Le «Foibe» si spiegano con il clima arroventato dell’immediato dopoguerra. La tragedia delle Foibe è in sostanza opera di invenzione politica.
Scrive di lui il prof. Stelio Spadaro, uomo di spicco della sinistra regionale e nazionale (già segretario provinciale dei Ds di Trieste), e profondo conoscitore della storia del confine orientale: “Il rapporto tra cultura italiana ed Istria, secondo il prof. Pirjevec, sarebbe stato, alla fin fine, di natura coloniale. Da molto tempo. Fin dal tempo di Venezia. E quindi gli istriani di lingua italiana – per lui – sono solo eredi dei coloni veneziani. La loro cacciata dall’Istria nel lungo dopoguerra sarebbe stata, perciò, una sorta di opera di «decolonizzazione». Gli Istriani dunque di lingua italiana non erano diversi dei coloni italiani in Libia o di quelli francesi in Algeria. Leggere per credere. Ovviamente ognuno può scrivere quello che vuole. E il problema di quanto scrive il prof. Pirjevec non sta nel tentativo di stravolgere la storia. Basta una gita a Capodistria, a Pirano o a Parenzo o Rovigno per ridimensionarlo. È invece un problema serio il fatto che il prof. Pirjevec e chi la pensa come lui ancora nel 2010 (non nel 1945 non, nel 1968 non nel 1979, ma oggi) non avverta l’esigenza interiore di riconoscere la profondità delle ferite che tutti i nazionalismi che hanno imperversato da queste parti italiani, sloveni, croati e/o jugoslavi hanno inferto su un tessuto culturale plurale. Oggi il prof. Pirjevec si assume il rischio di cadere nel ridicolo parlando della cultura italiana in Istria come fosse diffusa solo in pochi e circoscritti «covi» veneziani “.
Come si fa a non condividere quanto afferma Spadaro?
Sull’ “Avvenire” del 10 febbraio Antonio Airo scriveva “Per questo non siamo d’accordo con il giudizio (salomonico?) dello storico sloveno, Joze Pirjevec, nel suo recente volume Foibe (Einaudi editore) per il quale «gli orrori del 1945 possono essere forse, se non scusati, almeno collocati nella loro dimensione storica: esecrandi atti di vendetta provocati da altrettanti esecrandi odi e pregiudizi razziali». Per noi, invece, vale il proverbio inglese per il quale «due torti contrapposti non fanno una ragione»”.
Gaetano Villini sull’Osservatore Romano scrive dell’opera di Pirjevec che è “sbilanciata sul versante slavo e meno tesa a minimizzare gli infoibamenti, negando che diverse vittime avessero pagato effettivamente il loro solo essere italiane. C'è, dunque, una tesi pregiudiziale che limita la portata di un lavoro”.
Come si vede il buon senso non appartiene alla destra o alla sinistra, ma agli uomini di buona volontà. Ho voluto citare solo uomini di orientamento politico non di destra per dimostrare (ma non ce n’era affatto bisogno) che il libro di Pirjevec anche nella sinistra è bollato come non attendibile e fazioso.
Lo stesso presidente della Repubblica, Napolitano, nel 2007, ricostruendo le tragiche vicende seguite prima all’8 settembre 1943 e poi al 25 aprile 1945, ha dichiarato che vi furono un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico che assunse i sinistri connotati di una pulizia etnica.
Lo storico Giuseppe Parlato, sempre in riferimento al libro, scrive il 14 ottobre scorso “è un volume che si muove su un’unica tesi di fondo: le foibe sono un’operazione politica che ha consentito all’Italia, dopo la caduta del Muro di Berlino e dopo la crisi politica di Tangentopoli, di recuperare destra e sinistra in nome del vecchio nazionalismo che aveva gli stessi connotati di quello fascista. E in questa operazione politica un ruolo tutt’altro che marginale viene assegnato al presidente Napolitano, “reo” di avere osato parlare, nel febbraio 2007, di «congiura del silenzio» e di «pulizia etnica», in un discorso teso a realizzare «un’apertura politica alla destra italiana». Per giungere a queste conclusioni, Pirjevec traccia un quadro mitico nel quale dal 1848 i buoni (gli sloveni) vengono vessati culturalmente e politicamente dai cattivi (gli italiani). Questo giustifica tutto: le foibe, l’esodo, gli eccidi e le deportazioni. Persiste evidentemente la vecchia equazione «italiani = fascisti», che fu la principale causa delle violenze durante e dopo la Seconda guerra mondiale, ma che era anche la base ideologica del terrorismo slavo contro gli italiani degli anni Venti e Trenta e del quale, ovviamente, si tace.
Un particolare rivelativo è costituito dalla ricostruzione dell’eccidio di Porzûs. Pirjevec ricorre al vecchio armamentario togliattiano per gettare discredito sulla brigata Osoppo: era filofascista, anzi, filonazista, era responsabile di «maneggi», doppi e tripli giochi. Alla fine, l’eliminazione dei partigiani anticomunisti (che avvenne, come l’autore ricorda con eleganza, «a rate») viene definita un episodio «marginale» avvenuto all’insaputa del IX corpus jugoslavo. Le tesi degli storici italiani su questo argomento, seppure ricordate, non vengono discusse. In compenso si spara sul mucchio degli intellettuali, mettendo insieme De Castro, Arduino Agnelli, Galli della Loggia, Valiani, Pansa, Caracciolo, Canfora, Sergio Romano, Melograni e Rodotà; si accusa Sabbatucci, retrocesso da storico a «compilatore» di manuali per le superiori, di avere dato rilievo alle foibe. In qualche caso – per Melograni, Belardelli e Agnelli – l’accusa è di strumentalizzazione. E quando anche la sinistra (Violante e Fassino, soprattutto, e a Trieste Stelio Spadaro) inizia una revisione storica, allora non c’è più nulla da fare: anche la sinistra moderata si è arresa al nazionalismo. L’attacco più significativo è comunque rivolto al capo dello Stato, che con il discorso del 7 febbraio 2007 raggiunge «il culmine» del processo di consacrazione delle foibe. Guido Franzinetti contesta i passi principali del discorso del presidente e trova comprensibile che il capo dello Stato croato li abbia definiti «razzisti» perché «rivelavano scarsa sensibilità storica e politica». “
Queste iniziative costituiscono, in definitiva, un passo indietro sulla strada della condivisione dell’approccio scientifico sul problema e della creazione di un comune sentire su momenti controversi della nostra storia.
Con grande fatica, ma nella consapevolezza di operare nel giusto, molte persone dell’una e dell’altra sponda stanno lavorando per una impropriamente definita pacificazione e storia condivisa.
Quando leggiamo pagine come quelle scritte da Pirjevec, quando assistiamo ad iniziative come quelle dell’ANPI, ci rendiamo conto di quanto sia necessaria l’opera nostra e di coloro che operano per unire e non per dividere.
Rodolfo Ziberna, Vicepresidente nazionale ANVGD