Anche se il mio contributo come volontario è stato minimo, è stata una giornata che non dimenticherò.
Ho lasciato la Venezia Giulia nel 1945, quando avevo pochi anni. Ricordo, quando ero bambino, i racconti dei miei genitori (si parlava tutti i giorni del paese dove vivevamo), gli incontri con i loro amici e conoscenti, a volte anche nei campi profughi. Tanti anni fa, anche tra i profughi della diaspora, erano più frequenti i momenti di aggregazione, ed era facile incontrarli nelle più diverse circostanze. Ovunque andavo ne incontravo sempre molti, tanto che mi sembrava di appartenere ad una grande famiglia presente ovunque.
Poi ho continuato a girare per l’Italia, gli esuli sono invecchiati, il ricordo collettivo è sbiadito e il Paese è andato in direzione completamente opposta a quelli che sono i valori della gente dell’Esodo.
Ma mercoledì scorso, allo stadio Flaminio, mi è sembrato che qualcosa sia riemersa. Forse quella atmosfera del passato che più di tutto aiuta a ricordare e a far ricordare le esperienze comuni. Ciò capita quando si incontrano persone di varia provenienza, mai viste, eppure simili nel comune sentire, e che danno l’idea di essere in tanti, anche lontano dalla terra di origine.
Molte le considerazioni alla fine della giornata. Un incontro e soprattutto un’occasione per incominciare a passare il testimone alle nuove generazioni, a giovani che appartengono ad altre realtà, ma che dovrebbero tenere in piedi una memoria loro trasmessa faticosamente in tanti modi diversi (un ricordo del ricordo), e che a loro volta in futuro dovrebbero saper trasmettere alle generazioni successive.
Per completare questo passaggio il lavoro da fare è ancora tanto.
Enrico De Cristofaro, da Roma, volontario del Triangolare