di Stelio Spadaro su Il Piccolo del 27 febbraio 2010
Di solito il prof. Pirjevec si occupa di «Foibe». Nel farlo ripete le solite cose. Le «Foibe» sono solo una reazione alla violenza fascista. Le «Foibe» si spiegano con il clima arroventato dell’immediato dopoguerra. La tragedia delle Foibe è in sostanza opera di invenzione politica. Si veda il suo ultimo volume per ulteriori dettagli.
Di solito invece il prof. Pirjevec si tiene lontano dal tema dell’«Istria ed esodo». Non è il solo del resto ad evitare di parlare di esodo e quindi della scomparsa di una delle culture, quella istroveneta e poi italiana, da un territorio da sempre plurale. Anche per gran parte della cultura slovena e croata questo è un tema scomodo, perché è difficile, oggi dopo il 1989, spiegare le ragioni morali di una così vasta opera di semplificazione culturale e nazionale.
Ma questa volta il prof. Pirjevec, sul «Primorski Dnevnik» di qualche giorno fa, affronta il tema dell'esodo e offre una spiegazione che è opportuno segnalare, anche se non è proprio nuovissima.
Il rapporto tra cultura italiana ed Istria, secondo il prof. Pirjevec, sarebbe stato, alla fin fine, di natura coloniale. Da molto tempo. Fin dal tempo di Venezia. E quindi gli istriani di lingua italiana – per lui – sono solo eredi dei coloni veneziani. La loro cacciata dall’Istria nel lungo dopoguerra sarebbe stata, perciò, una sorta di opera di «decolonizzazione». Gli Istriani dunque di lingua italiana non erano diversi dei coloni italiani in Libia o di quelli francesi in Algeria. Leggere per credere.
Ovviamente ognuno può scrivere quello che vuole. E il problema di quanto scrive il prof. Pirjevec non sta nel tentativo di stravolgere la storia. Basta una gita a Capodistria, a Pirano o a Parenzo o Rovigno per ridimensionarlo. È invece un problema serio il fatto che il prof. Pirjevec e chi la pensa come lui ancora nel 2010 (non nel 1945 non, nel 1968 non nel 1979, ma oggi) non avverta l’esigenza interiore di riconoscere la profondità delle ferite che tutti i nazionalismi che hanno imperversato da queste parti italiani, sloveni, croati e/o jugoslavi hanno inferto su un tessuto culturale plurale.
A me pare che pur con mille difficoltà e ritardi in Italia si sta facendo strada la consapevolezza delle responsabilità del fascismo nei confronti dei cittadini italiani di nazionalista slovena e croata. Si potrebbe e si deve fare molto di più. Ma l’imbarazzo che si prova di fronte a quello che ancora va fatto da parte italiana non diminuisce lo sconcerto che si prova quando si legge quello che oggi (lo ripeto, oggi) il prof. Pirjevec ritiene di scrivere sulla presenza italiana in Istria.
Per fortuna , viene da dire, che siamo in periferia. Infatti a Roma, a Lubiana e a Zagabria si sono sentite in questi giorni parole diverse da parte dei Presidenti Napolitano e Turk e del nuovo presidente croato Josipovic.
Ma perché mi chiedo Trieste deve essere ancora condannata ad essere una periferia. Sottoposta continuamente al ricatto di una pattuglia di irriducibili nazionalisti, italiani o sloveni poco importa. Un mese fa la destra nazionalista italiana pretendeva di premiare il concittadino Boris Pahor senza parlare di quello che il fascismo gli aveva fatto. Oggi il prof. Pirjevec si assume il rischio di cadere nel ridicolo parlando della cultura italiana in Istria come fosse diffusa solo in pochi e circoscritti «covi» veneziani. La posta per i nazionalisti di tutte le bandiere deve essere grande. Allontanare il momento in cui finalmente ci lascia alle spalle il novecento, non per dimenticare la memoria delle proprie ragioni, ma per considerare anche nuove ragioni, quelle che derivano dal fatto di essere cittadini europei. Un solo auspicio. Mandiamoli in pensione.