Il 28 luglio 1914 scadeva l’ultimatum che l’Impero austro-ungarico aveva inviato al Regno di Serbia un mese prima, ritenendolo responsabile dell’attentato che aveva posto fine a Sarajevo alla vita dell’erede al trono asburgico e della sua consorte. Di fronte al rifiuto di Belgrado di esaudire le richieste presentate, l’Imperatore Francesco Giuseppe dichiarò guerra, scatenando una reazione a catena che nel giro di pochi giorni avrebbe trasformato l’Europa in un campo di battaglia per oltre 4 anni.
Nel 1908 l’Impero asburgico, giunto al termine il protettorato sulla Bosnia-Erzegovina che aveva ottenuto al Congresso di Berlino nel 1878, dichiarò l’annessione di quella che formalmente era ancora una provincia dell’Impero ottomano, suscitando le proteste della Serbia e della diplomazia della Russia, alleata del regno dei Karađorđević. L’imperialregio esercito prese il controllo della situazione e lo Zar non osò spingersi oltre: ancora cocente era il ricordo della sconfitta subita in Estremo Oriente nel 1905 con il Giappone per avventurarsi in una nuova spedizione militare. Vane anche le proteste italiane: la Triplice Alleanza sottoscritta tra Italia, Austria-Ungheria e Germania nel 1882 e più volte rinnovata prevedeva “compensi territoriali” all’Italia in caso di espansione austriaca nei Balcani, ma non se ne fece nulla.
Analogamente durante le Guerre Balcaniche del 1912-’13 l’Austria-Ungheria minacciò l’intervento se la vittoriosa marcia delle armate serbe si fosse spinta fino al mare Adriatico e ancora una volta l’Impero russo si limitò alle proteste diplomatiche. Ma in quella terribile estate del 1914, Nicola II ordinò la mobilitazione generale e l’intervento in difesa della Serbia, avamposto del progetto panslavista nei Balcani. Tale azione provocò l’entrata in guerra della Germania a fianco di Vienna, facendo così scattare i meccanismi dell’intesa russo-francese e anche il governo francese dispose la mobilitazione generale. L’Italia, che pur faceva parte della Triplice Alleanza, proclamò la neutralità e non intervenne poiché tale legame era di carattere difensivo ed in questa circostanza era stato l’Impero asburgico ad attaccare per primo. La reazione a catena sarebbe proseguita coinvolgendo anche Montenegro, Belgio e Gran Bretagna con tutte le sue colonie, dando origine a quella che i contemporanei chiamarono “Grande Guerra” dopo aver vanamente immaginato che il conflitto potesse durare solamente poche settimane.
Il 29 luglio 1914, primo giorno di ostilità, il Ministero della Guerra diramò un ordine di evacuazione dei civili residenti presso le fortezze: l’effetto fu immediato lungo il confine russo e diluito nel tempo per quanto concerne la piazzaforte di Pola, principale base navale dell’Imperialregia Marina da Guerra. Dopo un mese comunque metà dei polesani erano evacuati a Trieste o nell’entroterra: solamente l’entrata in guerra dell’Italia avrebbe comportato il trasferimento coatto ed urgente della popolazione, con particolare riferimento agli italiani, sospettati di essere quinte colonne del nemico. Destinazione i Barackenlager, campi di internamento allestiti con condizioni igienico-sanitarie precarie all’interno del territorio austro-ungarico.
Alla stazione di Trieste venivano caricati sui treni diretti al fronte della Galizia i soldati del 97° Reggimento di Fanteria, costituito da reclute provenienti dal Litorale austriaco (Trieste, Gorizia e Istria) e dalla retrostante Carniola: italiani, sloveni e croati sarebbero caduti a centinaia fronteggiando l’esercito russo. Mentre i coscritti si presentavano agli uffici di reclutamento, i giovani italiani di sentimenti irredentisti dell’Adriatico orientale esfiltravano in Italia per non essere costretti a indossare il Feldgrau, l’uniforme dell’Imperialregio Esercito, e adoperarsi piuttosto nel fronte interventista. Essi si sarebbero arruolati nella primavera seguente, ma nelle fila del Regio Esercito, per combattere in quella che per loro era la IV Guerra d’Indipendenza contro il vecchio nemico delle lotte risorgimentali e completare l’unificazione nazionale.
Lorenzo Salimbeni
Foto di copertina: Civico Museo della Guerra per la Pace Diego de Henriquez – Trieste