Il 3 maggio 1945 anche Fiume, dopo Zara, Trieste e Pola, veniva occupata dall’esercito titino: ben presto sarebbe entrata in azione l’Ozna, la polizia segreta della nascente dittatura comunista jugoslava, che avrebbe compiuto sequestri di persone, deportazioni ed eliminazioni nell’ambito di un’opera di epurazione politica. Pubblichiamo un estratto del saggio di Marino Micich “La Seconda guerra mondiale a Fiume e dintorni. La situazione politica e militare a Fiume dal febbraio 1944 al gennaio 1946. Fine della guerra e l’esodo” (Parte III – la fine)
Il 26 aprile era giunta notizia a Fiume che in Italia la guerra era finita e che Milano era in mano ai partigiani. La sorte del fascismo repubblicano era ormai definitivamente segnata. Queste notizie incoraggiavano le forze partigiane jugoslave, provate dai lunghi giorni di pesanti combattimenti, a riprendere gli assalti. Il 30 aprile la 13ª Divisione dalmata attaccò le difese alla periferia di Fiume da est e lungo il corso dell’Eneo, mentre la 3ª Divisione dell’Armata jugoslava si diresse verso Volosca e il nodo stradale di Mattuglie, a ovest di Fiume, portando a completamento l’azione a tenaglia partita da Cherso. Riccardo Gigante tentò coraggiosamente di costituire, in quegli ultimi giorni di aprile, una Guardia Civica composta da italiani di ogni tendenza politica, per cercare di trattare con i comandi partigiani e per non lasciare gli italiani senza alcuna difesa. Ormai era troppo tardi, le truppe di Tito erano in procinto di occupare la città in quanto la ritirata tedesca era da qualche giorno prevedibile. Infatti, il 1° maggio Kübler ricevette l’ordine di spostare le truppe a nord. Durante quella giornata molto piovosa girava fra le truppe la notizia della morte di Hitler, avvenuta il 30 aprile, causando un profondo senso di smarrimento e costernazione negli ufficiali tedeschi.
Il comandante tedesco del settore di Fiume, colonnello Lothar Zimmermann, un paio di giorni prima di abbandonare la città fece distruggere gran parte degli impianti ferroviari e portuali salvatisi dai bombardamenti assieme a un grande deposito di munizioni a Valscurigne. Le potenti esplosioni degli ordigni tedeschi procurarono ingenti danni alle abitazioni civili della zona.
Prima dell’entrata dei partigiani in città sembra che don Polano e altri elementi del CLN locale si fossero attivati e che guidassero alcune operazioni di carattere politico, quali quella di far issare sul municipio di Fiume il tricolore. Un’azione questa ancora tutta da verificare.
[…] La mattina del 3 maggio 1945 entrarono a Fiume, provenienti da Sussak, le truppe della 14ª Brigata della 13ª Divisione d’assalto dalmata; un altro gruppo di combattenti della stessa Brigata arrivò in città da Drenova. In poche ore i piccoli focolai di resistenza armata nei dintorni della città furono debellati. In città non si erano svolti in quei giorni combattimenti di sorta. Una parte del CPC clandestino di Fiume composta da italiani e croati – Pietro Klausbergher, Luciano Michelazzi, Romano Glažar, Ruža Bukvić, Giovanni Cucera, Nello Pitacco e altri –, non riuscì a organizzare alcun moto insurrezionale interno in quei frangenti.
Secondo fonti jugoslave, nella battaglia per la conquista di Fiume le perdite umane dal 17 aprile al 3 maggio 1945, nello schieramento tedesco e italiano, furono di circa 1.600 uomini (oltre a 55 feriti). I partigiani ebbero 311 caduti, 1.338 feriti e 43 scomparsi. L’alto numero di soldati tedeschi uccisi in battaglia, si deve probabilmente a una quota di prigionieri a cui non fu risparmiata la vita.
Fiume, verso le ore 13 del 3 maggio 1945, era completamente sotto il controllo dei partigiani. I tedeschi diedero ancora battaglia nella sera del 3 maggio nei dintorni di Castua, in particolare nei villaggi di Jušići e di Permani, contro le unità della 14ª Brigata. Assieme ai tedeschi, il difficile compito di coprire la ritirata fu affidato a un gruppo armato italiano formato da miliziani della 3° MDT e da alcuni marò della compagnia “Gabriele D’Annunzio”.
All’arrivo delle truppe jugoslave la popolazione fiumana rimase chiusa in casa. Regnava nei fiumani la paura e l’incertezza. Non ci furono acclamazioni, né festose accoglienze:
… le forze partigiane che per prime entrarono in città trovarono vie e piazze deserte. Si trattava del primo inequivocabile segnale di un’aperta avversione che i fiumani nutrivano da sempre verso coloro che non potevano considerare come liberatori, ma semplicemente come nuovi occupanti […]. Infatti, già nella notte del 4 maggio, durante il coprifuoco, la polizia segreta si mise all’opera per eliminare i principali esponenti italiani della città e coloro che a ragione o a torto venivano considerati gli ispiratori di tanta palese ostilità.
La situazione sin dal primo pomeriggio del 3 maggio era saldamente nelle mani del PCC, del Comitato popolare cittadino di Fiume (CPCL) e soprattutto del Comando Militare e dell’OZNA. I comunisti italiani fiumani erano già attivi nell’ambito del PCC e nelle organizzazioni italiane filojugoslave dell’UIIF) e dal mese di luglio 1945 in poi nell’Unione Antifascista Italo Slava (UAIS)74. Ad anni di distanza Amleto Ballarini, in quel periodo adolescente a Fiume, descrive così quel tragico giorno:
Il sole di maggio a Fiume, nel 1945, parve quasi un sole d’inverno […]. Per le vie deserte il silenzio pesante della paura raggelava i cuori nell’ansia di eventi attesi con occhi sbarrati dietro gli usci socchiusi e gli scuri abbassati delle persiane. Nell’aria immobile e fredda stagnava un odore di polvere, acre, come se il crepitare lontano, sempre più rado, di bocche da fuoco, alitasse ancora un fiato di morte sulla città abbandonata […]. Erano quasi le otto del mattino del giorno tre. Verso le dieci calò giù dalla collina un lungo corteo d’uomini e muli che si snodò con passo incerto, senza richiami e senza comandi, tra case che non s’aprivano, per vie che non si popolavano.
Non un canto da bocche d’imberbi che stringevano tra le mani armi spianate contro il vuoto d’una città sconosciuta […]. Si compì così la nostra “liberazione” e maturò nello squallore di quell’incontro la premonizione del nostro “terrore” e della nostra “passione”.
In queste poche righe, scritte con struggente e intensa sofferenza, si possono cogliere i sentimenti e la passione della maggior parte della popolazione italiana di Fiume, che visse drammaticamente l’arrivo delle forze armate jugoslave come un’azione di conquista e non di vera liberazione. L’esodo epocale che, da quei giorni in poi, divenne un fenomeno inarrestabile, fu indubbiamente una diretta conseguenza dell’avvento del regime comunista jugoslavo.
Lo sgomento e la preoccupazione provati dalla popolazione fiumana all’arrivo dei partigiani si riscontrano anche nell’ambito degli studi promossi dall’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia. La storica Liliana Ferrari illustra la situazione a Fiume in quel periodo utilizzando fonti di esponenti del CLN o vicini ad esso (Luksich Jamini e Mario Dassovich), sulla base delle relazioni di Mario Battilomo, commissario aggiunto alla Questura di Fiume, condividendone in buona parte i contenuti:
L’entrata dei partigiani in Fiume era stata dunque accolta con freddezza dalla popolazione. Così dicono le relazioni inviate alle autorità italiane e che confermano le ricostruzione di alcuni protagonisti pubblicate sulla rivista Fiume. Non è da escludersi […] che accoglienze più calorose si siano verificate nei quartieri operai, ma in quelli abitati dalla classe media commerciale ed impiegatizia la popolazione rimase chiusa nelle proprie case, disorientata ed in attesa degli eventi. Contribuì a tale stato d’animo anche la constatazione che i nuovi venuti non appartenevano ai battaglioni italiani, ma erano croati e di altre nazionalità jugoslave.
Marino Micich
Fonte: Fiume. Rivista di studi adriatici, n. 43, pp. 33-37