L’1 gennaio 2010 ricorre il centenario dalla nascita di don Pietro Calvino Damiani, meglio conosciuto come “padre Damiani”, sacerdote pesarese morto il 2 giugno 1997 e fondatore dell’Opera omonima situata tra viale Napoli e viale Trento, attualmente sede della Casa di riposo a lui intitolata e de “La Nuova Scuola”.
Memori di quanto padre Damiani tenesse al festeggiamento delle ricorrenze, la direzione di Casa Padre Damiani ha pensato di dedicare uno speciale di due pagine, curato dal giornalista Pierpaolo Bellucci, che sarà pubblicato su “Il Nuovo Amico” di domenica 17 gennaio (mentre sabato 23 gennaio sarà celebrata una messa alle 11 nella cappella della casa di riposo di viale Napoli 38), nel quale verranno ripercorse le tappe fondamentali della sua vita e della storia dell’Opera, voluta per offrire un’educazione ai bambini orfani di guerra o con famiglie in precarie condizioni economiche.
Un’Opera capace di accogliere in collegio un migliaio di collegiali all’anno, dal 1946 al 1977.
Anticipiamo alcuni flash della lunga vita (87 anni) di don Pietro.
I primi passi. Calvino Damiani (prenderà il nome di Pietro con l’ordinazione sacerdotale) nasce a Pesaro, in via Mammolabella nel Borgo, l’1 gennaio 1910.
Orfano di padre nel 1918, nel 1924 si trasferisce a Casorate Primo, vicino Milano, per raggiungere la madre, poi scomparsa nel 1927.
Lavora in fabbrica ma nel frattempo matura la vocazione sacerdotale, e dopo aver tentato l’ingresso in alcuni istituti religiosi, viene ammesso al seminario diocesano di Pesaro attorno al 1932, grazie all’intercessione dell’allora vescovo Bonaventura Porta.
Ordinato sacerdote il 4 agosto 1938, celebra la messa novella in maniera “particolare”, sposando i fratelli Giulio e Luigi.
L’iniziazione sacerdotale. Innanzitutto don Pietro è l’icona del servizio quando, appena sacerdote, venne inviato come cappellano a Santa Maria di Loreto: un servizio breve ma intenso compiuto nella fede e nello spirito formativo dell’Azione cattolica, troncato nel 1941 dalla chiamata a cappellano militare che gli fece conoscere i deserti del Nordafrica.
Nell’ottobre dello stesso anno don Pietro fa ritorno a Pesaro per motivi di salute, riprende il servizio a Loreto e nel 1944 si trova sfollato a Canavaccio di Urbino.
Qui, dopo una sparatoria di partigiani contro i tedeschi, ha luogo una rappresaglia e si minaccia la fucilazione di tanti innocenti.
Don Pietro si offre come “vittima sacrificale” per salvare i suoi compaesani, e il comandante tedesco decide di risparmiare lui e il resto della popolazione.
Ai primi di aprile 1945, mentre si trovava a predicare una missione popolare a Ripe di Senigallia, viene chiamato al “Campo profughi e reduci” di Udine.
La vocazione agli ultimi e ai giovani. Il secondo momento rappresenta la fioritura di padre Damiani come sacerdote: terminata la guerra don Pietro, cappellano al campo di Udine, si butta a capofitto per dare accoglienza e sistemazione prima ai reduci di guerra, e poi ai profughi giuliani, istriani e dalmati.
Non pago di ciò, pensa a una soluzione per dare una formazione corretta alla marea di orfani di guerra e ai figli di famiglie povere.
E’ il periodo più lungo ed esaltante: in particolare i primi anni (1946-1952) lo vedono lottare tra una serie di difficoltà economiche e logistiche, dovendo accogliere fino a ottocento ragazzi tra i 7 e i 16 anni.
Per spiegare l’animo con cui don Pietro affrontò questi primi anni, basta citare il motto ancora presente nella porta d’ingresso dell’Opera: “In fide victoria”.
Dai giovani agli anziani. Il terzo momento è catalogabile come la parabola discendente dell’esistenza di don Pietro: il collegio termina l’attività nel 1977, pochi anni dopo terminerà anche la colonia estiva, e il sacerdote pesarese comincia a preoccuparsi di dare un futuro alla “sua” Opera.
Complice l’età avanzata, comincia a preoccuparsi dell’assistenza agli anziani, e per questo negli anni Ottanta matura il progetto di trasformare l’ex Villaggio del Fanciullo in casa di riposo per anziani.